Orient Express’ collaborator
Orient Express’s letter writer and fanzine member
Orient Express’ letter writers & readers
Orient Express’ collaborator
Loredano Turrini, 1953, Bologna; Laurea in Filosofia; ex insegnante di Filosofia e Storia; ora pensionato.
- Spieghi brevemente in che modo partecipò all’esperienza dell’Isola Trovata e di Orient Express. Quale fu il suo ruolo e in che periodo collaborò con la rivista?
Mi sono trovato coinvolto nell’esperienza dell’Isola Trovata e di Orient Express per ragioni di famiglia. Luigi [Bernardi], che conoscevo dall’infanzia, si era legato sentimentalmente a mia sorella, con la quale ha convissuto fino alla morte e dalla quale ha avuto l’unico figlio. Io avevo intrapreso la carriera di giornalista, ma senza convinzione. Luigi mi propose di dargli una mano e io ne fui felice. Ho collaborato stabilmente a Orient Express dalla nascita nel 1982. Si lavorava con macchine da scrivere, lucidi e decalcomanie. A partire dal numero 11 del 1983, quando l’IT era già di proprietà di Sergio Bonelli (che risultava direttore di Orient Express), svolgevo anche formalmente la funzione di caporedattore: in effetti fin dall’inizio mi ero occupato in grande autonomia di quasi tutte le parti redazionali scritte, rubriche, recensioni, ecc. Dopo il trasferimento dell’IT a Milano ho mantenuto per qualche anno con Luigi e le sue pubblicazioni rapporti di collaborazione saltuaria e mi sono dedicato progressivamente all’insegnamento.
- C’è un articolo o un redazionale che scrisse per Orient Express di cui andava particolarmente orgoglioso?
Non ne vado orgoglioso perché l’orgoglio è un sentimento che mi è estraneo, ma mi capita di intenerirmi se per qualche ragione, assai raramente, rileggo ciò che scrivevo: la tenerezza di guardarsi da lontano e vedersi a volte giovane e sciocco, a volte arguto e leggero. È stata un’esperienza molto creativa, in ogni caso.
- Prima di collaborare con Orient Express, qual era il suo rapporto con il fumetto?
Con il fumetto ho sempre avuto un rapporto freddo. Da bambino leggevo molto gli albi di Luigi, che era già un collezionista accanito, ma era una lettura senza entusiasmo, un passatempo come un altro. Non ricordo nemmeno quali personaggi preferissi: il primo che mi viene in mente è “Mandrake”. Da adolescente, con Linus, ho iniziato a considerare il fumetto come forma espressiva alta, a volte con un po’ di passione: in ogni caso i Peanuts e B.C. e Li’l Abner, ecc. hanno avuto una funzione formativa importante.
- Dopo Orient Express, ha continuato ad occuparsi di fumetto? Se sì, in che veste?
Entrato nei ruoli della scuola ho continuato per qualche tempo a svolgere attività pubblicistica, ma prevalentemente nel campo della critica cinematografica.
- In una frase, che cosa fu per lei Orient Express?
Il piacere del lavoro artigiano, delle idee che attraverso le mani diventano cose.
- Nel 1982 uscì Orient Express, ma in quel periodo di riviste di fumetto d’autore ce ne erano tante. Ne leggeva altre? Se sì, qual era allora il suo giudizio al proposito?
Leggevo solo Linus perché mi sembrava che fosse (e probabilmente lo era) qualcosa di più di una rivista di fumetti. In particolare, i Peanuts rappresentavano per me lo spirito del tempo, per usare delle parole un po’ grosse, o almeno lo spirito del mio tempo (meglio: il mio spirito). Ero un militante politico che si riconosceva nell’inquietudine e nell’imbranataggine di Charlie Brown.
- Nel panorama abbastanza saturo dei primi anni ’80, perché nacque Orient Express? Come voleva porsi rispetto all’offerta fumettista già presente? Che cosa aveva di simile e di diverso rispetto alle altre riviste?
Orient Express nacque perché Luigi lo fece nascere. Se l’ho capito bene, credo che non nascesse tanto per forti scelte di campo ideologiche o estetiche, quindi con un taglio univoco, ma per la scommessa che il mercato del fumetto potesse espandersi offrendo opportunità di successo a prodotti che fossero insieme popolari e di qualità. Questo secondo Luigi accadeva già in Francia.
- Parliamo adesso dei personaggi chiave di Orient Express, a partire dal suo fondatore, Luigi Bernardi. Che tipo di editore/direttore era? Di cosa si occupava all’interno della redazione?
Luigi si occupava in maniera monocratica di tutto ciò che riguardava i fumetti, consapevole di avere un fiuto non comune nell’individuare il talento, anche quando non era pienamente manifesto. Per tutto il resto lasciava la più ampia autonomia e interveniva molto raramente per esprimere qualche disaccordo.
- Un lettore di Orient Express, intervistato di recente, ha detto: “Orient Express aveva una sua voce. Era principalmente la voce del suo direttore, anche se non so quanto scrivesse di suo pugno. […] Era una voce calda e pacata, rassicurante e al tempo stesso coraggiosa. Intelligente e non elitaria. Capace di leggerezza. Fuori dal coro, ma senza che l’essere fuori dal coro assurgesse a dominante identitaria”. Pensa che questa citazione rappresenti correttamente l’atmosfera all’interno della redazione di Orient Express? Come funzionava il lavoro di squadra nel periodo in cui lei collaborò con la rivista?
Per la mia esperienza non è mai esistito un vero e proprio lavoro di squadra. Luigi aveva un rapporto fiduciario con i suoi collaboratori, ma non amava la discussione e la mediazione. Parlava con i singoli, quasi mai con i gruppi. Le sue relazioni (non solo di lavoro) erano basate per lo più sul gusto del sarcasmo, del commento lapidario e conclusivo.
- Inizialmente Orient Express ospitava una lunga rubrica a cura del SIGMA. Come mai, in una rivista di fumetti, si voleva dare spazio alla narrativa noir?
Fin dall’inizio Luigi aveva ben chiare le due direzioni fondamentali del suo lavoro editoriale, fumetto e letteratura poliziesca, e aveva già costruito un rapporto di collaborazione in particolare con Loriano Macchiavelli. A mia memoria il gruppo SIGMA inviava il materiale per la pubblicazione, ma manteneva un profilo esterno alla rivista. Infatti, il rapporto non ha avuto vita lunga.
- Gli autori che collaboravano con Orient Express avevano alle loro spalle esperienze molto diverse. Alcuni lavoravano nel mondo del fumetto popolare già da decenni, come Magnus, Micheluzzi, Berardi, Milazzo; altri, avevano iniziato proprio con L’Isola Trovata, come Giardino, Cavezzali e Panebarco; altri erano ancora praticamente alle prime armi, come Baldazzini. Come erano armonizzati i contributi di tutti questi autori? Ne ricorda qualcuno in particolare con cui ha lavorato direttamente?
Non credo che si possa parlare di armonizzazione. Luigi teneva legate alla rivista personalità diversissime in forza della sua profonda motivazione e della sua autorevolezza. Inoltre, pagava regolarmente, cosa che molti hanno dimostrato di apprezzare in più occasioni. Alcuni di loro, i più giovani, con i quali aveva stabilito un rapporto amicale e in molti casi mentoriale, frequentavano la sua casa, ed è in quel contesto che ho conosciuto Giardino, Panebarco, Baldazzini e altri. Non ho mai lavorato direttamente con loro.
- Nel 1983 L’Isola Trovata e Orient Express furono acquisite da Sergio Bonelli. Che cosa ricorda di quel passaggio? Perché avvenne e che cambiamenti portò alle dinamiche interne della redazione?
La vendita dell’Isola Trovata e Orient Express si rese necessaria per pagare i debiti accumulati in quattro anni circa di attività editoriale. A cessione avvenuta accompagnai Luigi a Milano per la prima riunione con Bonelli e i suoi collaboratori: fummo trattati con molta gentilezza ma io mi sentii un po’ umiliato. Mi sembrò che le mie parole fossero considerate vane e presuntuose (e forse lo erano, nella logica dell’editore di Tex Willer). Luigi continuò il lavoro di direzione dell’Isola Trovata a Milano per circa un altro anno, anche se la redazione di Orient Express era cambiata radicalmente, poi scelse di sciogliere il legame con Bonelli e intraprendere una nuova impresa editoriale in proprio.
- Quando finì la sua esperienza con Orient Express? Perché?
La mia esperienza con Orient Express si è conclusa con il trasferimento a Milano. Ragioni personali e una certa diffidenza nei confronti dell’impero Bonelli mi spinsero a intraprendere una strada del tutto diversa. Pur essendo molto più disponibile al compromesso di Luigi, avevo avuto la sensazione di non riuscire ad essere me stesso nel passaggio da un contesto “artigianale” a uno “industriale”.
- Dopo soli 30 numeri, Orient Express chiuse i battenti. Ma non fu la sola. Alla fine degli anni ’80 solo poche riviste resistettero alla crisi. Quali sono i motivi per cui, secondo lei, finì l’epoca delle riviste di fumetto d’autore?
Non ho elementi sufficienti per valutare la crisi delle riviste e del fumetto d’autore, ma credo che il fallimento vada osservato su due piani paralleli: dalla parte del pubblico, che magari si è affezionato o fanatizzato, ma purtroppo non è aumentato; dalla parte della cultura delle università e delle accademie, che ha continuato a considerare queste forme espressive come triviali o semplicemente irrilevanti.
- Se le dico “fumetto popolare” vs. “fumetto d’autore”, che cosa le viene in mente? Come si poneva Orient Express nei confronti di questo dibattito?
Orient Express procedeva dall’identificazione del fumetto popolare con il fumetto d’autore nella figura carismatica di Magnus, che non a caso ne disegnò la prima copertina. Per Luigi non c’era discussione, era un dato di fatto che basso e alto andassero benissimo insieme. Magnus, che era una delle figure più rilevanti del fumetto popolare fin dagli anni ’60 con gli albi di Kriminal e Satanik, tornava autore a tutto tondo (testo e disegno) di letteratura poliziesca e spionistica con Lo Sconosciuto.
Orient Express’s letter writer and fanzine member
Mauro Marcheselli, 1953, Melara (Rovigo); licenza media inferiore (scuola serale per lavoratori); ex redattore e direttore editoriale di Sergio Bonelli Editore; ora pensionato.
About comics
- Quando ha iniziato a leggere fumetti? Che cosa leggeva?
Leggo fumetti praticamente da sempre. In casa, fin da piccolo, c’erano Intrepido e Il Monello (che, ahimè, una volta letti venivano riciclati come carta igienica). Quando ho potuto comprarne autonomamente era il tempo dei cosiddetti fumetti neri, che su noi ragazzini esercitavano un fascino irresistibile, quindi Diabolik, Kriminal, Satanik ecc. E naturalmente “i classici”: Tex, Zagor, Capitan Miki e Blek.
- Nel suo gruppo di amici, si discuteva di fumetti?
Da ragazzini, i fumetti venivano usati come “posta” da puntare nei vari giochi di moda allora. O oggetto di scambi. Ma raramente erano tema di discussione critica.
- A suo avviso, la classe sociale di appartenenza o la formazione scolastica erano in qualche modo legate alla scelta di un fumetto invece di un altro? In parole povere, in quel periodo (anni 70/80), chi leggeva Bonelli, Diabolik, Linus, Frigidaire, Orient Express, Corto Maltese, Totem, ecc.?
Sicuramente. Anche perché ai miei tempi (fine anni 60 inizio 70) chi poteva proseguire negli studi apparteneva alle classi più agiate e le famiglie non vedevano di buon occhio la lettura dei fumetti, e di alcuni generi di fumetto in particolare.
- Il mondo attorno a lei (amici, professori, familiari, ecc.) come percepiva la sua passione per i fumetti?
La maggioranza diceva che “buttavo via un mucchio di soldi” e quando li compravo ero costretto a portarli in casa di nascosto.
- Era comune che anche le ragazze leggessero fumetti?
Poco. Le mie sorelle, per esempio, leggevano quintalate di fotoromanzi Lancio. Anch’io.
- Come si è evoluta la sua passione giovanile? Che ruolo hanno i fumetti nella sua vita ora?
È diventata il mio lavoro per trent’anni. E ancora adesso è una grande passione che impegna parte della mia giornata. Quella più divertente.
About auteur comics magazines
- Nel 1982 esce Orient Express, ma in quel periodo di riviste di fumetto d’autore ce ne erano tante. Quali erano gli elementi fondamentali nella scelta di una rivista?
Nessun criterio particolare; io le compravo tutte. Attraverso una delle prime fumetterie milanesi mi procuravo anche un paio di riviste francesi (Métal Hurlant e (À Suivre)).
- Che ne pensava delle riviste di fumetto d’autore e che voto gli avrebbe dato allora?
Le riviste di fumetto, nel corso della loro vita editoriale, hanno avuto alti e bassi di qualità, difficile dare un giudizio, ma ci provo: Linus 7+; Sgt. Kirk 7; Eureka 6+; Alter Alter 7; Il Mago 9 (i primi numeri); Totem 6; Metal Hurlant 7; L’Eternauta 8; Frigidaire 8; Pilot 10 (ho collaborato…); Orient Express 9+; Corto Maltese 8; Comic Art 8.
- In base alla sua esperienza di lettore, che cosa accomunava e che cosa distingueva le riviste di cui sopra?
Ognuna aveva una sua personalità e nasceva puntando a un pubblico preciso,
spesso poi era costretta a mutare gli obiettivi di partenza per adeguarsi alle mode del periodo.
- Quali riviste avevano più personalità? Perché?
Direi Frigidaire. Per il coraggio di proporre certi autori e temi. Mi ricordo un bellissimo servizio sull’AIDS quando quasi nessuno sapeva ancora cosa fosse.
- Preferiva le storie a puntate o quelle auto-concluse? Comprava le riedizioni complete di storie serializzate precedentemente su rivista?
Le storie complete, oppure non spezzettate in troppe puntate. Quelle che mi erano piaciute su rivista le ricompravo in versione libro.
- Molte riviste prevedevano una posta dei lettori. Le interessava questa sezione? In che modo partecipava al dialogo che si sviluppava su di esse?
Ho scritto, e sono stato pubblicato, a molte riviste. Credo che quelli di Lanciostory e Skorpio mi odiassero, ma se spulciasse le rubriche della posta delle riviste e dei fumetti del tempo troverebbe lettere firmate da tanti che poi sarebbero diventati addetti ai lavori. Solitamente era la curiosità di saperne di più sui miei autori preferiti la molla che mi spingeva a scrivere.
- Esisteva una comunità di lettori? C’era differenza tra il lettore appassionato e il fan?
Le comunità dei lettori si ritrovavano alle (poche) mostre di fumetti che si svolgevano in giro per l’Italia, Lucca, Bologna, Treviso. Non vedo grandi differenze
- Conosceva o ha partecipato in maniera diretta a esperienze di fanzine/prozine?
Sono uno dei fondatori di Fumo di China, nata dalle ceneri del Bollettino del Club dei Giovani Amici Del Fumetto alla fine degli anni ’70 e tuttora in edicola. Ma non collaboro più con la fanzine dalla mia entrata in Bonelli nel 1986. Onde evitare conflitti di interessi.
- Secondo lei, perché l’esperienza delle riviste è finita con gli inizi degli anni ’90?
Troppe riviste, abbastanza costose, per un pubblico che è sempre rimasto di nicchia;
quindi un numero di acquirenti molto interessati ma in numero troppo limitato per riuscire a coprire gli ingenti costi di produzione di tali riviste. E nessuna casa editrice pubblica in perdita.
About Orient Express
- Che cosa aveva Orient Express di diverso rispetto alle altre riviste?
Era una specie di anello di congiunzione tra riviste popolari e d’élite. Pubblicava le opere inedite dei migliori autori italiani del momento, recuperando personaggi che erano rimasti nei cuori dei lettori fregandosene del pedigree.
- Pensando ai vari elementi di Orient Express (editoriali, articoli di approfondimento, interviste, news sui fumetti; posta dei lettori; storie a fumetti), quale era il suo preferito e perché?
A me piaceva soprattutto la parte riguardante il mondo del fumetto in tutti i suoi aspetti.
- Perché ha sentito la necessità di scrivere a Orient Express? Ha scritto più di una lettera? Com’è stato vedersi pubblicare/rispondere pubblicamente?
Come ho già detto ero uno “scrittore seriale”. Ed ero abituato a vedere le mie lettere pubblicate. Nel mio delirio di onnipotenza in realtà ci restavo più male quando non le vedevo pubblicate.
- Che cosa ne pensava delle risposte di Bernardi e dello staff? Pensa che ci fosse un rapporto di parità tra i lettori e i collaboratori/editori di Orient Express, o questi ultimi erano percepiti come più esperti e competenti?
I tempi non sono cambiati. Ancora oggi, sui social, si trovano lettori che credono di sapere tutto di come si dirige una casa editrice. Poi quando si passa dall’altra parte ci si rende conto che non è tutto così semplice come potrebbe sembrare dall’esterno. Forse è stata una punizione divina per me e altri grafomani come me finire a dirigere le aziende in gioventù superficialmente criticate via posta.
- Come ha accolto l’acquisizione di Orient Express da parte di Bonelli? C’era comunanza tra i lettori delle riviste e quelle dei seriali Bonelli Editore?
Da lettore ero contento. Sapevo che Bernardi, dal lato amministrativo ed economico, era in grande difficoltà e pensavo che l’arrivo della Bonelli avrebbe risolto i problemi lasciandolo libero di dedicarsi alla parte creativa della rivista. Non credo che ci fossero molti lettori bonelliani tra quelli che acquistavano Orient Express. Penso che fosse uno degli obiettivi a cui puntavano Bernardi e Bonelli quello di provare a far interessare alla rivista una fetta del pubblico bonelliano con l’inserimento di autori delle classiche serie dell’editore milanese.
- Quali erano i suoi generi fumettistici preferiti? Quali storie/autori di Orient Express preferiva e quali non le piacevano?
A me piacciono le belle storie, di qualunque genere siano. Di Orient Express amavo Lo Sconosciuto e Max Fridman in particolare. Le storie che non mi piacevano le ho rimosse.
- Che cosa ha pensato/provato quando, dopo soli 3 anni, Orient Express ha chiuso i battenti?
Mi è molto dispiaciuto. Conoscevo personalmente Bernardi e sapevo quanto ci tenesse alla rivista. Paradossalmente, oggi con quei numeri (che allora costrinsero a chiudere) Orient Express sarebbe tranquillamente in edicola.
Between Orient Express and Bonelli Editore
- Nel suo passaggio da lettore a addetto ai lavori, ha avuto modo di conoscere i retroscena di una rivista come Orient Express? Ha conosciuto qualcuno dei suoi protagonisti?
Conoscevo tutta la redazione. Allora facevo il camionista e passavo spesso alla redazione di via Ferruccio in cerca di anticipazioni per Fumo di China. Per me era una gioia, non so per loro. Tra l’altro fu proprio Renato Queirolo (e Tiziano Sclavi) a segnalarmi tempo dopo per l’assunzione in Bonelli.
- Se le dico “fumetto popolare” vs. “fumetto d’autore”, che cosa le viene in mente? È una distinzione che, magari in altro modo, aleggia ancora nell’aria?
Ora molto meno. Io leggevo indistintamente Lanciostory, Linus, Mister No o il Lando senza pormi il problema. Mi sono emozionato con Corto Maltese e Alack Sinner e allo stesso modo leggendo Dago e Sorrow.
- Che ruolo ha avuto Ken Parker nel congiungere “fumetto popolare” e “fumetto d’autore”?
Per me non c’è mai stata differenza. Ken Parker, poi, è il mio fumetto preferito in assoluto.
- Che cosa è rimasto dell’esperienza delle riviste di fumetto d’autore nell’editoria fumettistica odierna?
Tanto. Hanno contribuito a educare il gusto estetico del pubblico dei fumetti, allevato generazioni di nuovi autori e allargato gli spazi di un mondo di fantasia nel quale è sempre più necessario perdersi.
Further comments.
Ho scritto la presentazione della storia “L’uomo che uccise Ernesto ‘Che’ Guevara” quando uscì a puntate su Orient Express (e la prefazione quando fu raccolta in un volume dell’Isola Trovata). Lo propose lo stesso Magnus a Bernardi. Conoscevo Magnus da tempo e, saputo che stava lavorando a una storia dello Sconosciuto con protagonista il “Che”, gli avevo spedito uno scatolone di materiale sul rivoluzionario argentino che avevo raccolto essendone un grande “fan”. Materiale che gli fu molto utile (ai tempi non c’era Internet) per la realizzazione dell’episodio.
[cfr. Giuliano Ramacci’s letter, Orient Express no. 16] La storia del “pettine”. Ho sempre avuto una memoria fotografica per quanto riguarda i disegni, allenata da anni di letture, e riconosco un disegno quando è copiato, riuscendo spesso a risalire all’originale. E mi divertivo a segnalare alle riviste della Lancio i loro “plagiatori”. Così, all’ennesima segnalazione, Sergio Loss, che si occupava allora della rubrica della posta di Skorpio, in una risposta mi soprannominò “il pettine”. Cosa che mi diede un pizzico di notorietà tra quelli che seguivano le loro rubriche della posta. Qualcosa arrivò a Decio Canzio, direttore della Bonelli, con cui avevo già un solido rapporto di conoscenza per via dei miei passaggi in redazione, e mi disse, scherzando, di tenere d’occhio anche le riviste edite dalla loro casa editrice. Cosa che feci, ma con scarsi risultati vista la professionalità assoluta della stragrande maggioranza dei loro autori.
Non un lavoro pagato, quindi, ma volontariato.
Letter writers
Gregory Alegi, 1963, USA/Roma; Liceo Classico, Ph.D.; giornalista e professore di storia a contratto (LUISS).
Simone Castaldi, 1967, Firenze; Liceo Classico, Ph.D.; Associate Professor di Romance Languages and Literatures (Hofstra University).
Lorenzo Sartori, 1965, Milano; Liceo Scientifico, Scuola del fumetto; fumettista, illustratore, docente di disegno e di fumetto (Scuola Superiore d’Arte Applicata del Castello Sforzesco), arteducatore, operatore olistico.
Readers
Marco Castagna, 1957, Ischia Porto; Istituto Tecnico; imprenditore.
Paolo Ferrarotti, 1965, Trino (Vercelli); Liceo Scientifico, Scuola del Fumetto, DAMS Bologna, Scuola di Specializzazione per l’Insegnamento (Superiore); docente di filosofia e storia (Liceo Classico, Vercelli).
Questions
About comics
- Quando ha iniziato a leggere fumetti? Che cosa leggeva?
- Nel suo gruppo di amici, si discuteva di fumetti?
- A suo avviso, la classe sociale di appartenenza o la formazione scolastica erano in qualche modo legate alla scelta di un fumetto invece di un altro? In parole povere, in quel periodo (anni 70/80), chi leggeva Bonelli, Diabolik, Linus, Frigidaire, OE, Corto Maltese, Totem, ecc.?
- Il mondo attorno a lei (amici, professori, familiari, ecc.) come percepiva la sua passione per i fumetti?
- Era comune che anche le ragazze leggessero fumetti?
- Come si è evoluta la sua passione giovanile? Che ruolo hanno i fumetti nella sua vita ora?
About auteur comics magazines
- Nel 1982 esce Orient Express, ma in quel periodo di riviste di fumetto d’autore ce ne erano tante. Quali erano gli elementi fondamentali nella scelta di una rivista?
- Che ne pensava delle seguenti riviste e che voto gli avrebbe dato allora: Linus, Sgt Kirk, Eureka, Alter, Il Mago, Totem, Metal Hurlant Italia, L’Eternauta, Frigidaire, Pilot, Orient Express, Corto Maltese, Comic Art.
- In base alla sua esperienza di lettore, che cosa accomunava e che cosa distingueva le riviste di cui sopra?
- Quali riviste avevano più personalità? Perché?
- Preferiva le storie a puntate o quelle auto-concluse? Comprava le riedizioni complete di storie serializzate precedentemente su rivista?
- Molte riviste prevedevano una posta dei lettori. Le interessava questa sezione? In che modo partecipava al dialogo che si sviluppava su di esse?
- Esisteva una comunità di lettori? C’era differenza tra il lettore appassionato e il fan?
- Conosceva o ha partecipato in maniera diretta a esperienze di fanzine/prozine?
- Secondo lei, perché l’esperienza delle riviste è finita con gli inizi degli anni 90?
- Se le dico “fumetto popolare” vs. “fumetto d’autore”, che cosa le viene in mente?
About Orient Express
- Che cosa aveva OE di diverso rispetto alle altre riviste?
- Pensando ai vari elementi di OE (editoriali, articoli di approfondimento, interviste, news sui fumetti; posta dei lettori; storie a fumetti), quale era il suo preferito e perché?
- Perché ha sentito la necessità di scrivere a OE? Ha scritto più di una lettera? Com’è stato vedersi pubblicare/rispondere pubblicamente?
- Che cosa ne pensava delle risposte di Bernardi e dello staff? Pensa che ci fosse un rapporto di parità tra i lettori e i collaboratori/editori di OE, o questi ultimi erano percepiti come più esperti e competenti?
- Come ha accolto l’acquisizione di OE da parte di Bonelli? C’era comunanza tra i lettori delle riviste e quelle dei seriali SBE?
- Quali erano i suoi generi fumettistici preferiti? Quali storie/autori di OE preferiva e quali non le piacevano?
- Che cosa ha pensato/provato quando, dopo soli 3 anni, OE ha chiuso i battenti?
About comics
1. Quando ha iniziato a leggere fumetti? Che cosa leggeva?
Alegi:
Chissà quando ho iniziato a leggere fumetti e chissà quali non ho letto. Ho vaghissimi ricordi d’infanzia di albi del Grande Blek e Capitan Miki, ma in maniera del tutto occasionale. In via sistematica, direi intorno ai 6-7 anni con Topolino e, poco dopo, con il Corrierino, del quale ricordo anche il passaggio da Corriere dei Piccoli a Corriere dei Ragazzi, nonché quello a Corrier Boy nella stagione più buia e triste della Rizzoli. Del Corrierino ricordo le storie di Micheluzzi (tanto la serie storica quanto i successivi Johnny Focus, ecc.), Bonvi (Nick Carter, p. es.), Pratt, la strepitosa Valentina Melaverde di Grazia Nidasio. Ma il Corrierino era fortissimo anche sulle strisce, da Lupo Alberto a Sturmtruppen. Per alcuni anni anche i fumetti di guerra, che poi ho scoperto essere quelli inglesi della Fleetway (Joe Missouri, Guerra d’eroi etc), che si sposavano bene con la mia altra passione per la storia militare, che mio nonno materno alimentava con racconti e libri.
Chiusa l’esperienza del Corrierino, ho seguito sistematicamente Orient Express, Corto Maltese e L’Eternauta. Sospeso tra Italia e USA, con l’avanti-indietro per gli studi, preferivo abbonarmi per non perdere neppure un’uscita. Se alle riviste aggiungiamo gli albi/storie complete bisogna citare Asterix (in italiano), Tintin (in inglese), gli Albi Ardimento (o un titolo del genere, comunque supplementi monostoria del Corrierino: Michel Vaillant, Buck Danny e Blueberry, per dirne tre), i volumi di Pratt e quelli dei “Cavalieri del Cielo” Tanguy e Laverdure, editi da Mondadori. Arrivavano ovviamente le strisce di Peanuts (che a un certo punto venivano tradotte professionalmente da una ragazza au pair che viveva a casa nostra).
Se aggiungiamo il consumo di fumetti presso terzi (cioè amici), la lista si allunga a dismisura. Da Paolo Ravagli leggevo il Gruppo TNT (che non mi piaceva per il tratto grottesco, mentre ho poi apprezzato altre opere di Magnus, come Lo sconosciuto), Linus (che non mi coinvolgeva, però – salvo ovviamente Crepax), Jeff Hawke (che lui o suo padre compravano nell’edizione cronologica Rizzoli). Dalla mia compagna di classe Laura Mattina, il cui padre era uno degli avvocati di Soccorso Rosso, lessi persino I fumetti della rivoluzione, cioè fumetti di propaganda maoista. Mi imbattevo spesso nei fumetti americani (Marvel/DC), sia in italiano sia in inglese durante i soggiorni in USA. Ma il modello di puntate brevi e contorte richiedeva troppa costanza e diluiva l’interesse, e la stampa su pessima carta e colori fangosi non mi hanno mai appassionato. Poi bisogna tener presente che gli anni Settanta erano, sotto molti aspetti, un ambiente panfumettistico. Dai diari scolastici (Peanuts, Jacovitti, Sturmtruppen) ai programmi televisivi (Gulp! Il fumetto in TV, con la sigla “Fumetto” di Lucio Dalla), alle strisce sui quotidiani (Il Messaggero pubblicò il Flash Gordon in strisce quotidiane, che tagliavo e incollavo per farne un album), fino all’editoria commerciale (p. es. Diabolik o i prodotti delle Edizioni Lancio): in una qualche misura erano ovunque e quindi si leggeva tutto, in qualche modo. Prima che nascessero le fumetterie, le librerie avevano spazi riservati al fumetto (e agli aerei, ai mezzi militari ecc.), ed era facile imbattersi in autori o storie nuove.
Castaldi:
Ho cominciato prestissimo, in realtà ancora prima di saper leggere. Ho imparato a leggere sui fumetti. A quattro anni – con gran lentezza – potevo leggere i miei primi Topolini Mondadori, il Braccio di Ferro di Bud Sagendorf, i vari Bugs Bunny, Tom & Jerry, Gatto Silvestro e poi gli italiani per l’infanzia, Tiramolla, Geppo, Soldino, etc. Jacovitti era difficile da trovare, ma una delle più grandi gioie quando appariva una vecchia copia del Vittorioso o le ristampe in pocket della Mondadori. Ho incontrato i fumetti “adulti” molto presto, intorno agli otto anni. Un mio zio mi passava (di nascosto) copie del Linus primi anni ’70, Alterlinus e Eureka. A quell’età i miei preferiti erano Guido Buzzelli e la Paulette di Wolinski e Pichard.
Sartori:
Maneggiavo fumetti (e di fatto li leggevo) da prima di saper leggere. Da bambino e da ragazzo leggevo tutto quello che usciva in edicola tranne il porno. Ed era una marea di roba, fra prodotti dozzinali e capolavori. Come dice Paolo Bacilieri, i ragazzi della nostra generazione hanno avuto al loro servizio i migliori fumettisti del mondo, che molto spesso pubblicavano materiale di prim’ordine sulle riviste per ragazzi. L’esempio più alto, mai eguagliato, fu il Corriere dei Ragazzi, pubblicato fra il 1971 e il 1976.
Castagna:
Da subito: Corriere dei Piccoli, Topolino, poi Classici Audacia.
Ferrarotti:
Oltre ai fumetti che da piccolo sfogliavo per caso in giro per casa, roba che mio cugino e altri passavano da leggere a mio padre (Topolino/Paperino, Nonna Abelarda/Tiramolla, vari Tarzan, i vecchi Nembo Kid, Intrepido, Il Monello – c’era pure una specie di ragazzo fulmine molto ben disegnato, ricordo, forse prodotto in Italia – più avanti Tex, Zagor, Diabolik, Eureka, Linus…) ho iniziato a leggere seriamente fumetti all’età di 7 anni, quando in una sola estate acquistai (mi feci comprare) il numero 1 di Superman, il 2 di Batman e uno dei primi numeri di Flash (sempre per l’editore italiano Williams) ma soprattutto il mitico n. 35 dei Fantastici Quattro della Corno, “Battaglia al Baxter Building”: fu amore a prima vista, da allora divenni un fan della Marvel e Jack the King Kirby fu il mio Dio, forever and ever, amen (ancora adesso…)! Sempre quell’estate acquistai il mio primo Spiderman, il n° 50 credo, “Lo (?!) Il Mostro”, il mio primo Thor (37 se ben ricordo) e il mio primo Devil a settembre, “Fratello Brimstone”, ambientato a Hollywood, con le pozze di catrame di La Brea e le statue dei mammuth del Page Museum in cui mi imbattei anni dopo, gironzolando per LA (una delle mie sorelle ci lavora e risiede a Santa Monica)!
2. Nel suo gruppo di amici, si discuteva di fumetti?
Alegi:
Non ho particolari ricordi di discussioni su contenuti narrativi o artistici. Magari ci si strappava l’albo dalle mani o ci si metteva in coda per leggerlo: quello sì. Ma discussioni non ne ricordo. Peraltro, devono esserci state, in qualche misura, se a Roma con Andrea Angiolino (1966) ci trovammo ad alcune serate all’ex Mattatoio, dove vedemmo Magnus e Giardino disegnare una storia a quattro mani e Andrea si fece autografare il n. 1 di Orient Express, che forse era alla base di tutta la serata? A un’altra Silver mi autografò una storia apparsa su Eureka, che forse avevo portato apposta con me. L’esempio migliore è però Dario Zerboni, che io e Andrea frequentavamo per la passione dei wargame (perlopiù tridimensionali, cioè con i soldatini). Il padre di Dario, Alvaro, era forse il maggior rappresentante di autori sudamericani in Italia, tra gli animatori de L’Eternauta, Comic Art, Totem. Di questo non parlammo mai, però: era qualcosa che sapevamo vagamente, sullo sfondo.
Castaldi:
No. I lettori di fumetti miei coetanei – penso al periodo scuole elementari e medie – erano pochissimi, praticamente inesistenti.
Sartori:
Si parlava di fumetti, naturalmente, da ragazzi. Così come i ragazzi di tutte le epoche parlano delle cose che li entusiasmano. Da giovane non ricordo di aver avuto vere discussioni sul fumetto prima di iscrivermi al corso triennale della scuola di via Savona, dove mi trovai circondato da gente che aveva la mia stessa passione viscerale. È vero, c’erano le rubriche della posta delle riviste… c’erano anche le prime fanzine, che però ancora non frequentavo. Erano luoghi di confronto sul fumetto e non solo. C’erano anche le prime fumetterie, in particolare Le Nuvole Parlanti di Gianni Berti dove era possibile parlare seriamente di fumetto, ma io le ho scoperte dopo il 1984-85, cioè dopo il mio primo anno di corso. Io ho iniziato a discutere di fumetto coi miei simili al corso, e coi docenti.
Castagna:
Sì, erano molto ricercati e era operativo lo “scambio”.
Ferrarotti:
Sì, certo, fino alle medie di supereroi, dal liceo invece si cominciò ad avere altri eroi, sempre super, a loro modo, ma non altrettanto positivi: Pazienza, in primis, e i fumetti di Frigidaire! Nel frattempo, arrivarono anche i fumetti adulti dei francesi di Metal Hurlant, su tutti Moebius, anche se il primo libro di Druillet l’avevo acquistato per sbaglio in quinta elementare pensando fosse un nuovo supereroe, Lone Sloane.
A suo avviso, la classe sociale di appartenenza o la formazione scolastica erano in qualche modo legate alla scelta di un fumetto invece di un altro? In parole povere, in quel periodo (anni 70/80), chi leggeva Bonelli, Diabolik, Linus, Frigidaire, Orient Express, Corto Maltese, Totem, ecc.?
Alegi:
Senz’altro. I prodotti commerciali Bonelli (da Tex a Zagor) erano ovunque, così come i Lancio e Diabolik, ma erano più rari nel nostro giro di famiglie di professionisti, docenti, funzionari dello Stato. Al contrario, Linus era molto letto soprattutto a sinistra, e Frigidaire ancora più a sinistra. Orient Express era di nicchia: non ricordo di aver mai incontrato un altro del mio giro che lo leggesse. Corto Maltese secondo me puntava a lettori di qualche anno più grandi. Per quanto riguarda Totem, ne ho ricordi davvero sfuggenti e non saprei collocarlo all’interno delle mie frequentazioni di allora – salvo per dire che non ricordo di averlo mai visto in mano a nessuno.
Castaldi:
Generalmente sì, nel periodo iniziale delle riviste “adulte” (1965-1977). Linus per esempio era letto da un pubblico istruito, prevalentemente borghese, di sinistra, studenti universitari, futuri contestatori sessantottini. Le cose cambiano con il ’77. Il Male, Cannibale, Frigidaire in un certo senso sono la dimostrazione che il pubblico dei lettori di fumetti era diventato trasversale. Anche Orient Express, in tutt’altro ambito, aveva fatto negli Ottanta un’operazione di sdoganamento del fumetto di avventura popolare nell’ambito del fumetto alto, nel tentativo di conquistarsi un pubblico – appunto – trasversale, anche dal punto di vista di appartenenza sociale. Bonelli, invece, dagli anni Sessanta in poi è stato letto un po’ da tutti. Soprattutto Tex, che forse è stato il vero fumetto transclassista italiano. Ma tutta la storia del fumetto in Italia è attraversata da linee di demarcazione piuttosto nette, da un punto di vista di educazione e provenienza geografica e sociale dei suoi lettori. Il fumetto in Italia è nato, all’inizio del secolo scorso, alto-borghese e per un pubblico di giovanissimi scolarizzati, residenti per la maggior parte nel nord del paese. Era il pubblico del Corriere di Piccoli. Ma anche la religione fungeva da cesura tra i lettori: il Vittorioso cattolico e lo spericolato, e odiato dal regime, Avventuroso. Nel dopoguerra poi (quando i fumetti costano pochissimo e cominciano a diventare, per i giovani lettori, veramente transclassisti) c’era l’indice dei fumetti proibiti stilata dal Vaticano. Il feroce e antiautoritario Tex, pistolero assassino, contro il morigerato Pecos Bill, fautore di valori tradizionali come famiglia e amor di patria. Ma siamo già in piena guerra fredda. E infatti il pubblico di lettori di fumetti si omogeneizza con gli anni Ottanta, cioè quando gli equilibri (o disequilibri) e contrapposizioni ideologiche e culturali della guerra fredda sono già in fase di decomposizione.
Sartori:
Per la mia esperienza, sì. Io da ragazzo frequentavo il fumetto popolare, che era all’epoca quasi tutto il fumetto che esisteva. Sono nato lo stesso anno di Linus e per molto tempo Linus è stata, che io sappia, l’unica rivista di fumetto rivolta e letta da un pubblico intellettuale. In casa mia non è mai entrato finché non ce l’ho portato io, mentre lo vedevo ad esempio in casa della mia amica con genitori più “studiati” dei miei. I miei primi due volumi del Sergente Kirk di Pratt, lo stesso che leggevo sul Corriere dei Ragazzi ma che aveva un segno per me ancora ostico, non a caso me li regalò il padre di quell’amica.
Castagna:
Credo che i fumetti siano stati negli anni 60/70/80 trasversali, ogni classe sociale li leggeva, però sì, magari la classe sociale e la formazione scolastica potevano influenzare il “tipo” di fumetto.
Ferrarotti:
Sì, certo: già leggere i supereroi della Marvel/Corno era qualcosa che ti distingueva dagli altri compagni, dai qualunquisti che compravano soltanto Topolino al sabato o il giornaletto a fumetti che ti spacciavano in Parrocchia, dopo la messa della domenica! Di solito chi leggeva gli albi della Marvel, senz’altro i miei amici, sapeva distinguere i vari disegnatori, era una specie di élite di appassionati che li collezionava e aspettava con ansia l’uscita del numero successivo in edicola: il motivo per cui mi manca il primo numero di Capitan America è perché il mio amico del cuore, il Pinuccio, ne aveva comprati due, uno da leggere e uno da imbustare e conservare: aveva l’occhio lungo, e non credo avessimo più di otto anni (terza elementare?)! Lo stesso dicasi poi per le riviste della nostra adolescenza: chi aveva optato per il Liceo (Scientifico, ma fu una scelta di ripiego visto che mia madre non lasciò che mi iscrivessi all’Artistico, privato e drogato a Vercelli, troppo distante da Novara), come me, leggeva Frigidaire, Corto Maltese, Totem, 1984, Orient Express e guardava con un certo snobismo i vecchi compagni di classe, gli amici delle medie che frequentavano o avevano frequentato qualche istituto professionale ed erano rimasti fermi a leggere i vari Tex, Mister No o a Diabolik, in bianco e nero: per farmi ricredere l’Umberto, detto Jumper, mi prestava i Ken Parker e mi parlava per ore di quanto fosse un capolavoro, dell’etica dei cowboy, della filosofia dei pellerossa, di quanto Milazzo disegnasse con accuratezza i cavalli e io lo rispettavo, mi piaceva sentire tutto quello che diceva ma alla fine Ken Parker in edicola non lo compravo!
4. Il mondo attorno a lei (amici, professori, familiari, ecc.) come percepiva la sua passione per i fumetti?
Alegi:
Non ricordo particolari reazioni – un po’ perché era un mondo panfumettistico, un po’ perché leggevo moltissimo di qualsiasi cosa, un po’ perché comunque andavo molto bene a scuola. Onestamente, non è mai stata cosa di cui parlare.
Castaldi:
Con profonda costernazione e/o malcelato disappunto.
Sartori:
Il fumetto era guardato dall’alto in basso e in parte lo è ancora oggi, in Italia. Anche nell’ambiente popolare in cui vivevo era considerato qualcosa di frivolo e poco serio. Quando dicevo che da grande volevo fare il fumettista, mi chiedevano “sì, come passatempo: ma come lavoro che cosa vuoi fare?”
Castagna:
Forse i più recalcitranti erano i professori, che non avevano ben chiaro se fosse un fattore diseducativo o meno.
Ferrarotti:
Come qualcosa di totalizzante da cui loro erano esclusi, così come per la musica: i fumetti erano per mia madre la prosecuzione naturale di quel talento, di quell’amore per il disegno che mi aveva preso fin dall’età di tre anni, senza che nessuno mi spingesse a farlo: nella mia famiglia nessuno disegnava, non avevo visto nessuno farlo eppure gran parte della mia esperienza passava dal disegno e così stupivo la suora dell’asilo, il maestro elementare, i professori delle medie che dicevano di non aver mai visto nulla del genere: al Liceo invece passavo gran parte del tempo a disegnare sui libri di testo, sognando che un giorno avrei fatto il fumettista! Fu una grande grandissima liberazione all’esame cosiddetto di maturità proclamare alla Commissione che da grande avrei disegnato fumetti! Idem per la musica: sempre all’età di tre anni, anzi due e mezzo, mi ero fatto regalare un mangiadischi: mia madre continua a raccontare che la volta che mi portò a casa il 45 giri di “San Francisco” glielo feci restituire subito indietro al negozio di dischi perché mi aveva preso la versione italiana: io volevo l’originale di Scott McKenzie! A sedici anni scelsi la Fender Stratocaster al posto del motorino, come la maggior parte dei miei coetanei, ma questa è un’altra storia.
5. Era comune che anche le ragazze leggessero fumetti?
Alegi:
È difficile rispondere perché si rischiano distorsioni relative a un campione non significativo. Sono abbastanza certo che Laura Mattina e sua sorella leggessero Linus, ma tra le altre del mio giro tra scuola e Scout non saprei indicarne altre. Aggiungerei però anche la netta differenza tra i fumetti per l’infanzia (diciamo fino a Topolino compreso), che miravano a un pubblico indifferenziato (quindi anche femminile), e quelli per l’adolescenza e la prima fase adulta, il cui modello direi era implicitamente mirato a un pubblico maschile: avventura classica, noir, hardboiled, ecc.
Castaldi:
No. Non ricordo di aver conosciuto nessuna ragazza lettrice di fumetti almeno fino ai tempi dell’università. Ma questa può darsi che sia stata la mia esperienza personale. Ho scoperto recentemente che mia madre era un’accanita lettrice di fumetti negli anni ’50. Ma era più comune a quei tempi. La sua rivista preferita era l’Intrepido. E infatti l’Intrepido degli anni ’50 coltivava intelligentemente un pubblico femminile coniugando le storie di avventura con ampie pennellate di romance e interminabili saghe a episodi che ricalcavano la struttura dei fogliettoni ottocenteschi. Comunque, i primi fumetti me li leggeva mia madre e fu il suo “sciopero di lettura” quando avevo quattro anni a forzarmi e a incoraggiarmi a imparare a leggere.
Sartori:
L’amica che dicevo era una grande lettrice di fumetti. Dopo aver attraversato un breve periodo di passione per i supereroi (dagli otto ai nove anni), fu con lei che tornai a leggere il Corriere dei Ragazzi, che da piccolo mi portava a casa papà e ora comperavamo un numero la settimana io e uno lei, per poi scambiarceli. A parte l’amica, non credo che ci fossero nel mio giro di amici, ragazze che NON leggessero fumetti. Tutti (e tutte) leggevano fumetti!
Castagna:
Le ragazze di meno, avevano però i fotoromanzi.
Ferrarotti:
Assolutamente no, altrimenti mi sarei subito fidanzato e poi sicuramente avrei sposato la ragazza/donna con i miei stessi gusti fumettistico-musicali! Da questo punto di vista fui molto infelice e lo sono in parte tuttora…mia moglie non ha mai letto un fumetto, nonostante a breve sarà chiamata a fare un intervento accademico su una graphic novel spagnola tratta da un romanzo credo abbastanza famoso, in Spagna! Lo stesso dicasi di mia figlia: quand’era piccola mi ostinavo a comprarle settimanalmente uno Spiderman per bambini con tanto di fantastici gadget finché un giorno se ne venne fuori con un “papà, ma in questi fumetti non c’è mai neanche una ragazza!”.
6. Come si è evoluta la sua passione giovanile? Che ruolo hanno i fumetti nella sua vita ora?
Alegi:
Maturando o invecchiando, il mio consumo di fumetti è diminuito ma anche cambiato. Non compro più alcuna rivista (salvo alcuni anni nei quali ho ripreso l’abbonamento a Topolino per leggerne una storia a mia figlia ogni sera prima che andasse a dormire: un momento molto bello sotto il profilo famigliare ma senza alcun effetto sul suo interesse per i fumetti!). Ho approfittato delle ristampe per acquistare le serie complete e cronologiche di alcuni autori/serie, come Blueberry. In parallelo, sono diventato più ecumenico nella lettura casuale: se incontro fumetti fuori dal mio canone estetico-narrativo, li leggo con più curiosità. Quando mia figlia ha avuto un breve interesse (sei mesi?) per Dylan Dog, l’ho letto anch’io, non solo per assicurarmi che fosse adatto.
Compro inediti, serie complete e tutti gli anni visito Lucca Comics & Games. Ma solo perché abbiamo amici coinvolti nella parte Games, almeno a giudicare dal fatto che trascuro gli assai più comodi eventi fumettistici romani! Coltivo sempre i miei autori preferiti, Pratt (anche con studi critici, opere secondarie, l’autobiografia della figlia…) e Micheluzzi (del quale ho incontrato la vedova e i figli). (Ri)leggo l’ampia biblioteca. Posso vantare qualche collaborazione editoriale, come una prefazione per una collana di ristampe di Pratt e una per la prima edizione italiana di un Micheluzzi, e un intervento su Snoopy asso volante per una retrospettiva milanese di Peanuts. Ho scritto soggetti aeronautici per due autori di scuola prattiana. Ho tradotto dal francese all’italiano Micheluzzi e Hugault, che pur trovando grandissimo non ha fatto scattare in me il desiderio di avere e sapere tutto (però seguo la sua pagina su Facebook). E nell’ambito di un ciclo di conferenze su “Il volo e l’arte” ho tenuto interventi su volo e fumetto. Insomma, gli incontri con il fumetto sono diventati più intellettuali, più analitici. Se vogliamo, più profondi che larghi. Entro certi limiti, sono ancora in grado di sostenere una conversazione fumettistica.
Castaldi:
Direi che occupano una fetta piuttosto rilevante della mia vita. Da sempre li leggo, li scrivo e disegno, ne scrivo e sono oggetto della maggior parte del mio impegno accademico.
Sartori:
Sono diventato disegnatore e fumettista. Ho letto e cercato di fare il fumetto cosiddetto d’autore per anni. Mi sono sclerotizzato su alcuni nomi e un certo modo di considerare il fumetto. Finché ho iniziato a insegnarlo: questo mi ha obbligato, per serietà, a riaffacciarmi con occhi curiosi al mondo del fumetto come stava cambiando, soprattutto per la diffusione del manga, che in realtà era arrivato da tempo (parlo del 1998), ma era ancora malvisto e non aveva ancora permeato il modo di leggere e fare fumetto di tutto il popolo del fumetto. Leggere, io adulto, manga sui mezzi pubblici mi ricordava la stessa percezione di silenzioso rimprovero che avvertivo da ragazzo nel leggere fumetti in giro!
Ho continuato a leggere fumetto per anni. Come docente (per un certo periodo anche come membro di un gruppo di autoproduzione fumettistica) consideravo un punto importante il tenermi aggiornato leggendo tutte le uscite che percepivo come importanti. Oggi esce troppissima roba e non posso farcela. Forse è anche il mio entusiasmo a essere calato. La rosa dei miei interessi si è allargata e non ho più molto tempo per leggere fumetti.
Castagna:
Come si è evoluta: ovviamente dal fumetto popolare, seriale (Diabolik, Tex, Topolino) al fumetto d’autore, snobbando quindi il popolare, tranne poi riscoprirlo e apprezzarlo di nuovo.
Ferrarotti:
Li rileggo su ComiXology, a cominciare dai classici della Silver Age della Marvel della mia infanzia, in lingua originale: ci metto un po’ ma posso finalmente apprezzare l’originalità e il talento di Stan Lee, tutte quelle sfumature di linguaggio che spesso nella traduzione italiana si perdevano. È un altro mondo: è come starci dentro! Aziono l’opzione Guided View e lo schermo interno e me la godo! Essere dentro una vignetta di Kirby (ma anche di Steranko, di Colan, Kane o Neal Adams): quando ci entro non ci vorrei più uscire, è un’estasi estetica che raramente mi concedo perché altrimenti potrei fare solo questo e invece c’è il lavoro, la famiglia etc. Mi sto ricomprando tutto, da Watchmen a V per Vendetta, da Preacher a The Boys, perfino Star Wars oppure i manga, che normalmente non riesco a leggere, tipo Alita, di cui ho visto il film lo scorso anno; sono arrivato a comprarmi il portfolio dei disegni preparatori di vari videogiochi, proprio io che mi vanto di non aver mai giocato a un videogioco in vita mia!!!
About auteur comics magazines
7. Nel 1982 esce Orient Express, ma in quel periodo di riviste di fumetto d’autore ce ne erano tante. Quali erano gli elementi fondamentali nella scelta di una rivista?
Alegi:
Può sembrare tautologico, ma l’elemento fondamentale nella scelta di una rivista di fumetti (d’autore o meno) era (ed è) … il fumetto! Nel mio caso, il misto di elementi grafici e narrativi: dovevano piacermi gli autori, le storie, l’impatto visivo dei disegni. Il secondo criterio è l’impostazione stessa della rivista: l’omogeneità della linea, tra le storie ma anche tra queste e i redazionali, e anche nei redazionali la qualità, declinata sia nella buona scrittura sia nei temi. In molte riviste i testi erano abbastanza chiaramente dei riempitivi per separare i fumetti o raggiungere a basso costo la foliazione prevista. Il terzo è il rapporto interno/esterno: la redazione, nella misura in cui una redazione esiste (cioè lavora insieme, condivide una visione, etc.), deve creare una comunità con i lettori. Con internet e social la cosa è oggi scontata (e abbastanza facile), ma ai nostri tempi postali e materiali (al massimo telefonici!) era una sfida.
Castaldi:
I disegni. I disegnatori dovevano essere bravi. Tutt’ora riesco a leggere una brutta storia a disegni se è messa in scena bene, ma non l’opposto.
Sartori:
Io ho cominciato con Totem, perché ci ho trovato un autore di cui mi ero innamorato al tempo del Corriere dei Ragazzi e di cui, da allora, avevo perso le tracce. Non dico chi è perché l’ho ben presto ripudiato. Sì, credo che la presenza di uno o più autori specifici fosse un motivo di scelta importante. Orient Express aveva una linea editoriale piuttosto precisa e identificabile, come ce l’ha avuta, ancor più forte, Alter nell’ultima sua fase. Inizialmente credo che una parvenza d’identità le riviste cercassero di darsela: Metal Hurlant pubblicava prevalentemente umanoidi francesi, Totem (che era la riedizione di una riedizione spagnola) pareva un Metal Hurlant un poco annacquato, Corto Maltese si era data il tema del viaggio, forse più stringente nelle parti redazionali che nei fumetti… Pilot ha avuto una forte identità soprattutto grafica nella sua seconda vita grazie al fenomenale Maggioni (N.B. Maggioni giovanissimo era stato art director del Corriere dei Ragazzi). Questa tendenza è andata perdendosi col tempo, cioè nel brevissimo arco di esistenza del fenomeno delle riviste d’autore. Comic Art o Il Grifo, che guardicchiavo in mano agli amici e di cui non ho mai acquistato un numero, sono state l’apoteosi dei puri, amorfi contenitori.
Castagna:
Io, in particolare, non faccio testo, ero onnivoro. Le prendevo praticamente tutte a patto che avessero una linea “culturale” dichiarata e preponderanza di disegnatori talentuosi; per capirci quelle che non ho mai frequentato erano Lanciostory e Skorpio e tutti i loro epigoni.
Ferrarotti:
Che ci fossero i miei autori prediletti: per esempio sono sicuro che ho iniziato a leggere Orient Express perché ci hanno pubblicato Pazienza, così come qualche anno dopo Comic Art che pubblicò il suo ultimo fumetto incompleto, la sua ultima opera da vivo, l’Astarte!
8. Che ne pensava delle riviste di fumetto d’autore e che voto gli avrebbe dato allora?
Alegi:
Per quanto riguarda la mia esperienza personale, premetterei che in qualche modo la fine del Corriere dei Ragazzi aveva lasciato un vuoto fumettistico che stavo inconsciamente (?) cercando di riempire. In qualche modo, forse, il benchmark di tutto era quell’esperienza il cui picco era durato poco più di cinque anni, preceduto dalla trasformazione del vecchio Corrierino e seguito dal declino di CorrierBoy.
Lette regolarmente – Orient Express. Ricordo la prima e più eroica fase di Orient Express, che rompeva con il modello vagamente elitario di Linus/Alter e offriva un modello intermedio rispetto ai prodotti esclusivamente commerciali, p.es. della Bonelli. Ricordo una scelta di autori di qualità, che ampliò molto la platea di quelli che avrei seguito (Giardino, su tutti). Ricordo una grafica moderna, anche qui equilibrata tra l’austerità di Linus (con il suo Helvetica) e il disordine non solo stilistico a la Frigidaire. Voto 8,5 su 10. L’Eternauta. Dell’Eternauta ricordo la rivelazione (tipo)grafica de Il Mercenario, con la sua abbondanza di colore e l’estetica radicalmente diversa da tutti gli altri. Ricordo il buon equilibrio tra autori italiani che conoscevo/seguivo/apprezzavo (Pratt, Toppi, Micheluzzi …) e i sudamericani che Zerboni importava a vagonate grazie al loro basso costo. Non ho ricordi particolari delle parti redazionali o del tentativo di costruire una comunità di lettori. Voto 7 su 10. Comic Art. Nel ricordo mi pare una sorta di Eternauta meno ricco, ma nello stesso solco in termini di impostazione generale. Non ho ricordi particolari delle parti redazionali o del tentativo di costruire una comunità di lettori. Coincise con la fase calante del mio interesse per la rivista a fumetti. Voto 7 su 10. Corto Maltese. Aveva dalla sua l’essere la “casa” di CM, era graficamente molto bella e talvolta presentava altri contenuti interessanti ma la sensazione complessiva era di una rivista patinata, chic, fredda che sfruttava CM senza saperlo sostenere e completare con altri contenuti. Ripensandoci oggi direi che anche i redazionali avessero un’impronta non pienamente coerente con quella “avventura” che è il DNA del suo eroe eponimo. Non brutte graficamente le storie di Manara (“Tutto cominciò un’estate indiana” e (“Viaggio a Tulum”, se ben ricordo) ma pubblicate con lentezza esasperante. Voto 6 su 10.
Lette occasionalmente – Linus. La più frequente tra le occasionali, anche perché davvero molto diffusa. Occasionali gemme come Pratt (ma assai discontinue, data la sua complicata vita personale di quegli anni), indubbia l’attrattiva erotica della Valentina di Crepax (parliamo degli anni Settanta!), ma autori come Lunardi erano deprimenti e Claire Bretécher non era per adolescenti. Redazionali iniziatici e troppo culto della personalità intorno a OdB. Voto 5 su 10. Alter. Lo ricordo come costola di Linus, e può darsi che alcuni miei ricordi di Linus siano in realtà più pertinenti a Alter Linus. La presenza nel 1978 di Moebius (Il garage ermetico), che ricordo di aver leggiucchiato senza appassionarmi, sembra però confermare che si trattasse di Alter. Non saprei dire, a memoria se i redazionali fossero molto diversi da Linus e se l’impronta OdB fosse minore. Voto 5 su 10. Eureka. Di Eureka riconosco alcuni personaggi (da Al Capp a Lupo Alberto) e conservo un fascicolo autografato. Pur essendo incentrato sulle strisce quotidiane comiche, per me meno interessanti e comunque reperibili altrove, aveva il pregio di un ottimo rapporto fumetto (molto)/testo (poco). Voto 6 su 10. Totem. Difficile da portare a casa per la forte componente erotica, oltretutto passata rapidamente dalla versione quasi accettabile (fumetto) a quella urlata (fotografica). Da sbirciare a casa di amici, quando capitava, senza poter sviluppare particolare continuità. Scarsa avventura. Grafica (forse volutamente) ruspante. Voto 4 su 10.
Non lette allora (non valutabili in modo analitico) – Sgt Kirk – sentita solo nominare come riferimento mitico; non la ricordo in distribuzione in edicola, mentre ricordo di aver visto alcuni libri Ivaldi anni dopo, ma fuori dal normale circuito librario. Ne ho letti alcuni numeri da adulto, che mi fanno pensare che se l’avessi letta a 15 anni mi sarebbe piaciuta molto (8 su 10, potenziale). Il Mago – non ne ho alcun ricordo come testata. Dato che conteneva strisce che leggevo (p.es., BC) probabilmente ne ho letti diversi, ma le storie non erano di mio gradimento (p.es., Ctulhu di Breccia). Il mio giudizio sarebbe stato modesto (6 su 10, potenziale). Frigidaire – non ne ho alcun ricordo come testata. Tuttavia, autori come Scozzari, Liberatore e (in parte) Pazienza non mi piacevano e quindi il mio giudizio sarebbe stato modesto (5 su 10, potenziale). Pilot – non ne ho alcun ricordo come testata. Tuttavia, autori come Wolinski etc. non mi piacevano e quindi il mio giudizio sarebbe stato modesto (5 su 10, potenziale). Metal Hurlant – non ne ho alcun ricordo come testata. Tuttavia, autori come Moebius etc. non mi piacevano e quindi il mio giudizio sarebbe stato modesto (5 su 10, potenziale).
Castaldi:
Le due più importanti e migliori nella lista sopra sono state secondo me Linus (e Alterlinus) e Frigidaire. Linus perché per prima ha aperto in Italia il bacino dei lettori di fumetto a un pubblico adulto e ci ha fatto annusare un po’ di francesi (Forest, Wolinski, Reiser, Pichard, e più tardi Giraud e Druillet). Frigidaire perché ha rappresentato un ibrido rivoluzionario di giornalismo e fumetti che non ha avuto eguali nella storia del fumetto europeo. E poi perché c’erano Tamburini, Mattioli, Scòzzari, Liberatore e Pazienza. Per i miei gusti, negli anni Ottanta, dopo Frigidaire veniva Metal Hurlant perché era l’unico modo di leggere gli Umanoidi Associati senza doversi far spedire la versione originale della rivista dalla Francia. Ma la versione originale di Métal era molto più bella di quella italiana che era un po’ un po’ raffazzonata. In Italia la rivoluzione dei fumettisti di Métal Hurlant ce la godevamo in differita, ma meglio tardi che mai. Più tempismo avevano avuto quelli di Alter che già nel 1977 pubblicavano i mini-episodi del Garage Ermetico di Moebius. Negli Ottanta compravo poi Orient Express perché pubblicavano il mio autore preferito: Magnus. Avevano avuto il grande merito di sdoganare Magnus nel mondo del fumetto alto e per la prima volta lo avevano fatto entrare nell’empireo degli auteurs. Non mi piaceva Comic Art, anche se ogni tanto la compravo perché pubblicavano le nuove storie di Pazienza. Ma la prendevo soprattutto per lamentarmi di come erano brutte le nuove storie di Pazienza e per chiedermi che diamine gli fosse successo. Però mi divertivano le storie erotiche di Giardino fatte a imitazione del Little Nemo di McCay.
Sartori:
Ah… un pezzo di risposta l’ho già data. Linus in quel periodo faceva satira e ben poco fumetto, a parte la primissima e lungimirante pubblicazione del Maus di Spiegelman in fascicoletti spillati. Personalmente non amo la satira, l’unico autore di satira che leggo volentieri perché è un genio assoluto è Altan. Ho acquistato regolarmente Linus per qualche anno e ne ricordo soprattutto alcune folgorazioni di Altan e il Maus di cui sopra. Sgt. Kirk faceva parte della generazione precedente. L’ho visto a posteriori e non mi vengono cose da dire. Eureka e Il Mago erano, credo, scopiazzature di Linus e del primo Alterlinus. Ne posseggo alcuni numeri, acquistati nell’usato solo per la presenza di alcuni autori di rilievo (The Spirit di Eisner, ad esempio). Ma sostanzialmente non incontravano il mio interesse. Alter ha avuto momenti fighissimi. Era una vera rivista. Coraggiosa, con la capacità di rivoluzionarsi più e più volte. Capace di prendere a schiaffi il pubblico quand’era necessario. Anche L’Eternauta aveva una sua linea editoriale: fumetto d’avventura, a volte fantasy, prevalentemente di origine argentina. Col massimo rispetto per i maestri argentini, non mi attizzava. Perlopiù mi parevano la versione solo un poco più accurata di un fumetto popolare alla Skorpio. Cioè cose che pure leggevo da bambino (Intrepido e Il Monello ad es.) ma che già allora mi accendevano poco, tant’è che ho mille ricordi legati al Corriere dei Piccoli, al Corriere dei Ragazzi, e quasi niente che mi sia rimasto da quelli che poi il mio insegnante di sceneggiatura chiamò i “fumetti da bidè”. Frigidaire!!! Cazzarola me la stavo dimenticando! Sì, anche Frigidaire era una vera rivista: CON fumetti. Anche se credo che i suoi lettori la comprassero PER i fumetti. Poi però leggevamo tutto. Ma devo essere sincero. Come s’intuisce anche da quella lettera imbarazzante inviata a Orient Express, ero un ragazzo che si è “svegliato” un po’ tardi, quindi di Frigo ho fatto in tempo ad acchiappare solo l’ultimo scampolo di fase buona. Quello di fantastico che era venuto prima, l’ho ampiamente recuperato comperando gli arretrati. Pilot l’ho ignorato. Nella prima fase credo che fosse la terza copia di Metal Hurlant e Totem. La sua fase Glénat (credo… comunque la rinascita sotto altro editore), con Sclavi al timone e Maggioni all’immaginario visivo me l’ha fatta conoscere molti anni dopo il mio amico Alberto. Insomma, non posso dirne niente. Corto Maltese l’ho letta per anni. L’ho smessa quando la noia, che già sentivo, si è sposata al fumetto USA, che non amavo (anche se qui devo ammettere un eccesso d’intransigenza e su alcuni casi ho poi dovuto ricredermi, ad es. sul Dark Knight di Miller che all’epoca trovavo intollerabile). La leggevo per amore incondizionato verso il personaggio che le ha dato il titolo… ma il suo far coesistere, nella prima fase, tutti quegli autori che potevamo considerare l’incontestabile establishment del Fumetto d’Autore, la faceva puzzare di vecchio.
Tengo per ultima Orient Express perché è il nostro argomento. Ho incontrato Orient Express in una fase in cui da poco frequentavo le riviste e ancora non avevo smesso il respiratore che aveva tenuto in vita il mio amore per il fumetto nei lunghi anni dopo la morte del Corriere dei Ragazzi, ossia alcune testate Bonelli. Leggevo con gusto Mister No e Martin Mystère (oltre al Tex di mio padre, che non avrei comperato di tasca mia, ma a cui ero affezionato dall’infanzia). Ci fu a un certo punto una specie di crocevia editoriale fra Martin Mystère e Orient Express. Così comperai quel numero con la copertina gialla, che fra l’altro conteneva l’unico fumetto che Orient Express pubblicò mai di Laura Scarpa, che sarebbe prestissimo diventata la mia insegnante di fumetto e non solo. Orient Express pubblicava autori italiani. Alcuni erano vecchie conoscenze che ritrovavo con entusiasmo, come Attilio Micheluzzi o un sorprendente Magnus che avevo lasciato quando faceva ridere e ora con lo stesso identico disegno raccontava storie crude e tremende. Altri autori erano nuove leve, almeno per me. Alcuni furono nuovi amori (la Brandoli ad es.), altri dei fuochi di paglia che m’incuriosirono un attimo e subito mi sommersero di noia.
Attenzione. Scrivo tutto a memoria, senza consultare niente, senza riaprire una sola pagina di rivista. La memoria però non è solo quella dell’epoca: essendo diventato fumettista, discorsi e confronti e discussioni e riflessioni sul tema ne ho fatti e sentiti una quantità nel corso egli anni. Cerco di riportare i miei ricordi del tempo, ma sappiamo che la memoria fa giri strani e scherzetti. Io i voti non li do. È più forte Hulk o La Cosa? ^_^
Castagna:
Linus 10 (ma 10 a quello di Giovanni Gandini, 9 a quello di Oreste del Buono, 6 – – a quello di Fulvia Serra, no comment sull’interregno, 10 a quello attuale di Igort); Orient Express 9 (per l’apertura al mondo degli autori italiani, e alla riscoperta della scrittura, basta al fumetto a forma di farfalla di Moebius e valore agli sceneggiatori soggettisti; bravo Uderzo, che magnifico disegnatore ma senza Goscinny sarebbe rimasto a piedi); Alter 8 forse anche 9, ha pubblicato Alack Sinner, Dick Tracy, Pazienza quanta roba…. Comic Art 8 perché, dopotutto, ha ripreso il testimone di Orient express e lo ha saputo portare avanti per molti più numeri, forse grazie alla co-organizzazione di Lucca Comics. L’Eternauta 7 un clone di Comic Art che pescava il meglio dal mondo del fumetto di Lanciostory. Il Mago 6, forse l’unica rivista che non ho seguito molto, ma aveva un formato indeciso e non era facile pubblicare Braccio di Ferro di Segar. Pilot 6 bella. Sgt. Kirk 6 bella, le copertine di Toppi, ma fuori mercato e fuori edicola. Frigidaire 6, una partenza magnifica ma poi…. Eureka 6 sulla scia di Linus ma con una sua personalità e poi aveva portato The Spirit di Will Eisner. Corto Maltese 5: sontuoso inizio con Milo Manara, Pratt, Pazienza inediti! La scoperta di Miller, Alan Moore (forse si meritava 8). Ma una rivista è anche redazione e dei redazionali e un editoriale (dio mio gli editoriali di Fulvia Serra! inutili, noiosi, pedanti). Totem, Metal Hurlant 5: riviste riempitive del materiale Metal Hurlant scartata o non utilizzato da Alter.
Ferrarotti:
Linus lo snobbavo perché c’erano soprattutto strisce (allora non sapevo ancora che ci avessero pubblicato pure i Fantastici Quattro, prima della Corno, mentre i fumetti di Charlie Brown si potevano leggere tranquillamente sui nostri diari scolastici) e poi lo leggeva il Rubert, che ci era passato per moda direttamente da Topolino, dalle elementari alle medie. Eureka lo leggevo fin dalle elementari perché me li passava mio cugino, solo le cose che mi interessavano (c’era pure roba della Marvel ogni tanto, ma soprattutto perché c’era Spirit, che somigliava a un supereroe: non lo capivo ma adoravo i disegni di Eisner). Alter l’ho scoperto ai tempi della Scuola del fumetto perché pubblicava Mattotti (e gli altri Valvoline), che era balzato ai tempi al numero uno dei miei disegnatori preferiti e che cercavo di emulare, anche se poi alla fine forse i miei disegni originali assomigliavano più allo stile di Carpinteri. Il Mago l’ho frequentato poco, molto poco, qualche numero passatomi dal solito cugino di Torino. Sì invece a Totem e Metal Hurlant, soprattutto da dopo che era uscito nelle sale il film d’animazione: e allora via a comprarsi tutti gli albi speciali di Corben & Co. Moebius il mio preferito su tutti, of course! Frigidaire lo leggevo perché c’era il mio idolo Pazienza, e poi Liberatore, Scozzari, sì per me era da 10, ai tempi del Liceo e oltre, alla Scuola del fumetto (con Tempi Supplementari, pure)! Lo stesso dicasi per Corto Maltese: c’era Manara, che allora mi piaceva ancora e tanto, oltre a Pratt, ma c’era soprattutto l’onnipresente Pazienza! Sarebbe bastato questo per me… come ho già detto anche Orient Express iniziai a leggerlo per via di Paz, mentre L’Eternauta, Pilot, Comic Art iniziai a leggerli per motivi professionali, sempre all’epoca della Scuola del fumetto, perché magari ci pubblicava un nostro docente o dietro consiglio di qualche compagno. Invece per Corto Maltese fu diverso, continuai a leggerlo anche ai tempi dell’università per un motivo molto semplice: iniziò a pubblicare il Batman di Miller e Watchmen: questo riaccese in me la passione per i fumetti della mia infanzia perché anche quei personaggi avevano subito la mia stessa metamorfosi: erano cresciuti, si erano fatti adulti, si potevano leggere di nuovo con un certo orgoglio e soddisfazione dopo anni in cui sembravano essere stati o dover essere soltanto degli ingombranti scheletri nell’armadio! Ripresi a comprare le serie della Star Comics in edicola con la stessa passione con cui da piccolo correvo ad acquistare gli albi della Corno: solo che adesso nei fumetti di Hulk si moriva di AIDS (come capitava per altro nella realtà a molti miei ex compagni di scuola, delle elementari e delle medie, qualcuno quasi amico)!
9. In base alla sua esperienza di lettore, che cosa accomunava e che cosa distingueva le riviste di cui sopra?
Alegi:
La prima e più importante distinzione era il tipo di fumetti pubblicati. Poiché naturalmente alcuni nomi importanti avevano una presenza trasversale, a fare la differenza diventavano gli altri: strisce “syndicated”, sudamericani a poco prezzo, erotismo “acchiappa-ormoni” o “scouting” di nuovi autori italiani di qualità come Saudelli o Queirolo.
Castaldi:
Come lettore molto giovane all’epoca delle riviste mi affascinavano i contenuti adulti; cioè la sensazione di partecipare a un’esperienza di lettura destinata ad un pubblico più maturo di me. In questo senso le riviste, specialmente Frigidaire e in parte Linus, mi avevano aperto le porte di una cultura (non esclusivamente libresca) che generalmente non è disponibile a un lettore molto giovane. Di sicuro alcune riviste di fumetti mi hanno formato meglio e mi hanno fornito molto più del poco che mi offrivano le scuole da ragazzino.
Sartori:
Vedi risposta precedente.
Castagna:
Vedi risposta precedente.
Ferrarotti:
Il fatto che venissero pubblicati i grandi autori, il gotha del fumetto italiano e internazionale; oppure quelli più innovativi e creativi, quelli per i quali non ti pesava usare il termine di arte, come per i Valvoline, un vero e proprio movimento artistico, pop, di “massa” ed elitario ad un tempo! Tale era: grandi Autori che producevano grande Arte! Altro che quei buffoni della Trans-Avanguardia di Bonito Oliva, che pure flirtava con Frigidaire, come Bussotti con Ranxerox…
10. Quali riviste avevano più personalità? Perché?
Alegi:
Linus aveva una personalità, ma era una sorta di status symbol o elemento identitario di appartenenza a un certo ambiente. Orient Express aveva una personalità più spiccatamente fumettistica, tanto che non saprei come collocarlo politicamente: l’antiamericanismo di Magnus ne L’uomo che uccise “Che” Guevara potrebbe essere indifferentemente di destra o di sinistra. Di sicuro non avevano personalità L’Eternauta e Comic Art, che si limitavano a incollare un fumetto dietro l’altro.
Castaldi:
Vedi risposta precedente.
Sartori:
Be’, intanto la casa editrice dava linee editoriali e identità. Le riviste della Nuova Frontiera, come credo che si chiamasse quella di Totem & C, oltre a proporre un ambito fumettistico piuttosto delimitato (con deroghe) si caratterizzava per carta brutta e colla peggio, una grafica approssimativa e lercia, redazionali quasi inesistenti. A memoria citerei una rubrica di critica di fumetto, umoristica e a fumetti, scritta e disegnata da Luca Boschi e un’altra di curiose “recensioni di luoghi” a cura di Antonio Tettamanti. Le riviste di RCS (forse allora non si chiamava ancora così…) avevano sempre un piglio molto professionale, anche quando ospitavano ad esempio la famosa disputa nazionale se fosse legittimo o no che un personaggio dei fumetti come Alack Sinner facesse pipì. Nascevano da una Linus creata dalle menti migliori di quella generazione ed erano sempre generose di testi più o meno interessanti. La mia predilezione per Alter credo che si sia già capita. Le perdono quasi tutto, compresa una deriva da pseudodesigner fighini milanesi. Non le perdono Comès e neanche altri epocali equivoci che ora non mi sovvengono (meglio così). Frigidaire era una rivista non militante o forse invece militante dell’ala creativa della sinistra radicale. Iconoclasta, provocatoria, seriamente antagonista… una ventata d’aria fresca in quegli anni che si depiombizzavano rapidamente ma male. Non a caso fu l’unica a essere uccisa dalla censura di Stato attraverso la sottrazione del finanziamento di cui all’epoca godeva tutta la stampa periodica. È stata il palco prediletto di Pazienza, e già questo di per sé sarebbe sufficiente a santificarla (subito).
Castagna:
Linus perché aveva la sua linea originale e riusciva a stupire e anche i redazionali erano brillanti; e poi Orient Express perchè c’era Bernardi che era un vero intenditore.
Ferrarotti:
Per le ragioni di cui sopra: non ero un tossico ma ragionavo come un tossico, sarà a forza di leggere Pazienza: la meglio gioventù non poteva che leggere quei fumetti, Frigidaire e Alter! Era la vera espressione dello spirito del tempo, la sua punta più elevata: solo una élite superiore e oltremodo sballata poteva permettersi di capirli e apprezzarli!
11. Preferiva le storie a puntate o quelle auto-concluse? Comprava le riedizioni complete di storie serializzate precedentemente su rivista?
Alegi:
Ho sempre preferito le storie auto-concluse, a prescindere dalla loro lunghezza. Quando disponibili, ho spesso comprato le edizioni in volume delle storie serializzate in rivista.
Castaldi:
N/A
Sartori:
I fumetti a puntate funzionano bene sui settimanali, non sui mensili. Ma se abbiamo solo mensili e vogliamo storie di ampio respiro, non ci sono alternative. Le storie autoconclusive non sono preferibili in sé. Bene se sono belle, ma di per sé il concludersi senza la scritta “continua” in fondo, non è un valore. La storia di Laura Scarpa era autoconclusiva e molto bella. Le storie di Zampino di Cossu facevano cagare. Così, detto fra noi ^_^ Se non ricordo male, solo alcune delle storie a puntate venivano raccolte in volume. Io ne ho comperate pochissime. Da un lato mi accontentavo delle puntate sparpagliate sui numeri delle riviste, il volume sarebbe stato un doppione. Dall’altro non potevo permettermeli. Avevo pochi soldi e dovevo scegliere. Ad esempio, mi ha stupito a un certo punto scoprire che c’era in giro gente che non sceglieva un paio di riviste da comperare regolarmente, ma le collezionava tutte. Totalmente fuori portata, per me.
Castagna:
Preferivo le storie a puntate, perché lasciavano spazio ai redazionali; quando Comic Art iniziò la serie delle storie auto-concluse la rivista si impattava (a meno che non ci riferiamo a storie auto-concluse di poche pagine). Compravo le riedizioni complete.
Ferrarotti:
Sì, come sostiene il mio rivenditore personale di fumetti, mio omonimo, che purtroppo adesso non frequento più, a causa di Amazon & Co., “ormai ci rivendono sempre le stesse cose”, sono le sirene del capitalismo, “dolcezza, e tu non puoi farci niente”: lo sai, ma continui a ricascarci, allora magari erano le pillole “erotiche” di Magnus, debitamente censurate su rivista (ma siccome la censura colpiva a casaccio, molte vignette molto spinte erano in chiaro, altre no, è ovvio che puntassero sul voyeurismo implicito in ogni fumettaro represso che si trovava le tavole ginecologiche dei fumetti da barbiere, di serie z, elevate al rango di raffinata arte magnusiana! E che quindi non potrà non volerle riscattate in un’edizione tanto integrale quanto costosa), oppure Watchmen o altri fumetti in versione più o meno graphic novel che adesso mi trovo a ricomprare in versione digitale definitiva, salvate dalle ingiurie del tempo (come adesso con i Super eroi Classic della Gazzetta: non solo mi ricompro i fumetti della Corno che leggevo da bambino/ragazzo ma poi li ricompro nuovamente, magari in offerta, in versione digital-restaurata su Comixology!)
12. Molte riviste prevedevano una posta dei lettori. Le interessava questa sezione? In che modo partecipava al dialogo che si sviluppava su di esse?
Alegi:
La posta dei lettori non mi interessava in sé, ma in quanto veicolo per comunicare con la redazione. Purtroppo, non ho ricordi particolari di discussioni protratte e articolate (“thread”, diremmo ora).
Castaldi:
Adoravo la posta di Frigidaire. Perché si capiva che la maggioranza dei lettori che scrivevano non aveva capito una virgola dei contenuti della rivista. Mi piaceva il tono ingiurioso delle risposte. La prima cosa che cercavo quando usciva Frigidaire era la posta, per vedere se c’erano le risposte ai lettori di Filippo Scòzzari.
Sartori:
Sì, m’interessava. Leggevo sempre la posta, a partire dal Corriere dei Ragazzi, passando per il mio solo anno di supereroi (da cui la domanda immarcescibile su chi è più forte, che già all’età di otto anni trovavo idiota), fino a quelle riviste di fumetto d’autore che ne pubblicavano. Non so perché m’interessasse la posta dei lettori, non mi ponevo il problema all’epoca. Oggi so di essere molto interessato alla moltitudine delle persone, alle storie vere, alle espressioni sincere e spontanee… quindi a posteriori potrei vedere in quell’interesse una linea di tendenza in nuce. Ma sono anche convinto che tutti leggessero la rubrica della posta delle pubblicazioni che acquistavano: anche solo perché in genere era breve, semplice, leggera e molto pop.
Di solito mi astenevo dal partecipare attivamente. Ricordo di avere scritto una lettera idiota a Martin Mystère suggerendo a Castelli che un personaggio come Martin non dovesse dare il cattivo esempio fumando. Questo è quasi un coming out, eh. Non lo sapeva nessuno finora. E poi ho scritto la famosa lettera a Orient Express, di cui mi vergogno altrettanto e che ha però avuto il merito di farmi incappare, tanti anni dopo, in una ricerca che stuzzica il mio interesse!
Castagna:
Mi interessava molto, erano l’anima della rivista; ma a dire il vero io non partecipavo attivamente se non rarissimamente.
Ferrarotti:
La leggevo da piccolo, quella dei super eroi della Corno, perché conteneva informazioni sui miei personaggi e autori/disegnatori preferiti oppure, a volte, perché volevo ritrovarci un qualche spirito affine, magari qualcuno che conoscevo (il Pinuccio?! Lorenzo [Sartori, n.d.r.]?! No, lui no, non ha mai letto supereroi, li detesta, non ce la fa proprio, è troppo serio e pragmatico, non ha tempo di perdersi in inutili fantasticherie, non ha tempo di guardare al lato oscuro e violento dell’America, al limite agli effetti nefasti del capitalismo paternalista italiano, da Bonelli a Berlusconi, è un’operaista d’altri tempi!) oppure, ormai trentenne, leggevo con attenzione la posta di Blue perché la mia antica insegnante di fumetto nonché amica nonché allora compagna/amante di Francesco Coniglio, editore della suddetta rivista cultural-porn, e non solo, rispondeva con gusto e garbo, fin dove possibile, alle domande a volte fin troppo esplicite, porno nel senso etimologico del termine, dei lettori, si metteva sulla loro stessa lunghezza d’onda, quella dell’utenza più “infoiata” (roba da pubblico de Le Ore!): mi stupiva che (s)ragionasse e sentisse come un uomo, o meglio, vedere come le donne potessero pensarla esattamente come noi maschi, anche soltanto a livello di fantasie sessuali “porche”, disegnate (d’altra parte certe cose non le fanno mica soltanto gli uomini, a parte i gay…)! Ma lei, la Laura [Scarpa, n.d.r.], d’altronde, è una donna di mondo e soprattutto una donna-acquario, molto emancipata e disinibita in materia.
13. Esisteva una comunità di lettori? C’era differenza tra il lettore appassionato e il fan?
Alegi:
Non sono a conoscenza di una vera e propria comunità di lettori, ma questo potrebbe rispecchiare fattori soggettivi quali la mia presenza intermittente in Italia, la distanza dalla sede bolognese/milanese della testata e la sua stessa breve esistenza. È importante distinguere la comunità dei lettori dal giro dei collezionisti, interessati al possesso ma non necessariamente al contenuto.
Castaldi:
N/A
Sartori:
Io credo che l’esistenza della comunità di lettori fosse in buona parte determinata dalla volontà della rivista. Cioè, se la rivista la voleva, la comunità di lettori si creava. Nel senso di una partecipazione anche molto parziale, estemporanea, sporadica, che andava assieme a un intimo sentire convinto. Al tempo del Corriere dei Ragazzi io sapevo ed ero orgoglioso di essere parte della sua comunità di lettori, anche se ad esempio non ho mai partecipato ai concorsi e giochi collettivi che coraggiosamente lanciavano di quando in quando. Nel caso di questa testata (che però non è quella di cui vuoi parlare tu) posso dirlo con sicurezza, perché ancor oggi quando succede che ci si riconosca fra lettori del CDR, il senso di comunità è quello che si attiva subito, spontaneamente e con calore! Dico che l’esistenza della comunità dipendeva dalla volontà della rivista perché (come ho scoperto dopo) gestire il rapporto coi lettori e alimentare con attenzioni e iniziative questo senso di appartenenza, costava molta energia ai redattori e, all’editore, soldi.
Non so se mi è chiaro che cosa s’intenda per lettore appassionato e fan. Io ero un lettore appassionato che non ha mai pensato di fare un salto di qualità o di quantità, intrufolandosi nel mondo del fumetto professionale o approfondendone la conoscenza attraverso ricerche specifiche. Cioè, non finché ho deciso che era tempo di realizzare il desiderio che avevo fin da bambino di fare questo mestiere. Non ho sentito il bisogno di cercare miei simili, anche se poi, trovandoli, ne ho molto goduto.
Ci sono poi i collezionisti, che da giovane disprezzavo accusandoli di accumulazione acritica. Schiavi sciocchi di un mercato che, giustamente, li umilia a botte di variant cover. C’è anche un’altra categoria che in parte si sovrappone ai collezionisti: chi conserva i fumetti in buste di plastica, che compera appositamente per metterci dentro i fumetti! Stupefacente, questo sì, altro che l’uomo ragno. Chi rinuncia a vedere la parte centrale della doppia pagina per non creare una piega nel dorso della brossura e quindi legge i fumetti di scorcio. Oggi lascio a ciascuno i suoi disturbi della personalità e riconosco ai collezionisti il merito di alimentare un’industria e un mestiere che amo, anche se non l’amo in ogni sua manifestazione. Sono convinto che in ogni arte che gode di un certo successo (e temo che il fumetto si stia avviando alla sua fine in questo senso) presenti delle vette di creatività luminosa che si ergono, ma anche si fondano, su una vasta base di merda semicommestibile. Ma oggi, in un mercato florido come quello francese, il calo delle vendite dei singoli titoli è compensato dagli autori attraverso la vendita di tavole originali sempre più belle ai collezionisti. Cosa che oltre a far pareggiare i conti in casa, permette alla carta e a tutto il raffinato mestiere che da secoli utilizza questo supporto, di non soccombere del tutto alle nuove frontiere del digitale immateriale.
Castagna:
Esisteva una comunità di lettori, ancora non si percepiva la dimensione del fan/nerd.
Ferrarotti:
Credo di sì: la comunità di lettori c’era e c’è, è variegata, l’appassionato può trasformarsi in un fanatico più o meno monotematico o mono-genere, come il sottoscritto in certi momenti della sua vita, anche se non mi sono mai iscritto o abbonato a nessuna sorta di fanzine.
14. Conosceva o ha partecipato in maniera diretta a esperienze di fanzine/prozine?
Alegi:
Ho conosciuto infinite fanzine e partecipato attivamente a molte di esse, fino a realizzare per molti anni un’importante prozine in altro settore. Purtroppo nessuna nel settore fumettistico! Ricordo bene Fumo di China, di Marco M. Lupoi, il cui nome ho rivisto di recente come curatore di una qualche collana di fumetti. Immagino di aver pensato di collaborarvi, ma non conservo memoria più esatta e non ho una raccolta sottomano. Poi in quegli anni non c’era neanche il fax, e per me che stavo più in USA che in Italia era difficile mantenere contatti.
Castaldi:
Ho pubblicato una fanzine musicale nei primi anni Ottanta e alcune pagine erano dedicate ai fumetti. Poi dal 1992 fino a un paio di anni fa ho pubblicato una rivista di fumetti con un collettivo di artisti che nel corso degli anni si è spostata da Firenze, dove era nato, ad una sorta di linea New York-Berlino-Firenze. In totale ne sono usciti 17 numeri. Tutto in tirature limitate, stampato in proprio e auto-distribuito. Al momento sto pubblicando una serie di albi a periodicità più o meno annuale. Tutto questo sotto nom de plume. Una brutta abitudine cominciata troppo presto per smettere.
Sartori:
Sì, naturalmente vedevo, sfogliavo, leggiucchiavo fanzine. Prevalentemente nate in quell’area mista di punk e fumetto underground. Oltre a Wow, naturalmente: la prima fanzine nazionale, che vedevo in giro ma (ammetto) non leggevo. Da giovane ho avuto un progetto di fanzine bizzarra che si sarebbe dovuta intitolare Dove portali e cortili di lastre mal connesse e piante, per opera di fumettisti in erba e geniacci vari, perché già allora m’interessava mescolare i linguaggi. Godevamo di una certa fiducia nel nostro circondario, al punto che abbiamo raccolto in anticipo i soldi per stamparla vendendo abbonamenti sulla fiducia. Poi non se n’è più fatto niente e abbiamo restituito i soldi a tutti quanti.
Ho fatto un’autoproduzione nel 1990 con Laura Scarpa, intitolata FS Fumetti e Storie da leggere in treno. Lei oltre a essere stata la mia insegnante era una professionista affermata, quindi questo volume non possiamo chiamarlo fanzine. A maggior ragione se consideriamo che all’epoca le fanzine erano perlopiù inguardabili. E illeggibili. Ma affascinantissima e irresistibile per un fumettista o aspirante, era la prospettiva di gestire tutta tuttissima la filiera produttiva di una testata!!
Castagna:
No.
Ferrarotti:
No, anche se le mie sorelle collaboravano a una fanzine sugli U2: credo che in tal caso scattino dei meccanismi di natura sessual-religiosa, non so quanto finora indagati…Prozine non l’ho mai sentito, sono proprio fuori dal mondo ormai, che vecchio, mi ricorda il prozac…il tipico “farmaco” formato magazine da comix-dipendente!
15. Secondo lei, perché l’esperienza delle riviste è finita con gli inizi degli anni ’90?
Alegi:
È difficile ricondurre tutto a una causa. Di certo ritengo valga la pena di esplorare la crescente diffusione di immagini veicolate da stampa e televisione, tale da rendere meno necessaria la mediazione dell’artista. Altrettanto importante credo sia il mutare di gusti e culture. Tra questi includerei il graduale abbandono della narrativa (in quanto tale e in quanto portatrice di sistemi valoriali, comuni anche ad altri campi) e la graduale sostituzione delle scuole statunitensi (portata dalla Seconda Guerra Mondiale, com’è evidente – per esempio – dall’influenza di Milton Caniff su Pratt e nei primi disegni di Micheluzzi, ma anche, di rimbalzo, riecheggiata in molti sudamericani) e francese con quella giapponese che stava occupando ogni spazio televisivo.
Credo abbia giocato anche la difficoltà di rinnovare le prospettive di redattori e direttori, in qualche modo sopravvissuti a sé stessi, in grado di confezionare prodotti perfetti per un pubblico inchiodato a un certo modello (come me!) ma in difficoltà nel cambiare e adattarsi a un pubblico fatto prima da coetanei (L’Asso di Picche di Pratt & C. è scritto da coetanei dei lettori …), poi da figli e alla fine da nipoti. Chiamiamola, se vogliamo, una crisi del “fiuto” o del “radar” redazionale.
Non ignorerei infine lo studio dell’impresa editoriale e della sua trasformazione, anche in termini di crescita delle dimensioni minime per stare sul mercato. Di contro, il passaggio all’interno di gruppi più grandi ha portato spesso allo slittamento verso una logica puramente di grandi numeri e ritorni economici. (Ho notato questo fenomeno anche nell’editoria di altri settori che seguo, quale aviazione e modellismo, nei quali le piccole imprese editoriali sono state spinte fuori mercato fino a chiudere e i grandi editori hanno chiuso ottime testate perché insufficientemente redditizie).
In ultimo, esplorerei il rapporto tra la prospettiva filologico-collezionistica di molti appassionati (la ricerca dei mitici fascicoli 1, il basso valore delle ristampe etc.) e l’impostazione editoriale delle riviste da loro animate o dirette.
Castaldi:
Tanti motivi. Il rincaro dei prezzi della carta che aveva colpito tutto il settore della stampa in Italia alla metà degli anni Ottanta. Un prezzo pagato soprattutto dalle riviste a fumetti, che, generalmente considerate non culturali, non beneficiavano delle agevolazioni e sussidi statali che invece ricevevano riviste come Espresso e Panorama. Poi anche il cambiamento antropologico radicale subito dagli italiani negli ’80. La mancata formazione di una nuova generazione di lettori di fumetti a causa dell’impatto della TV berlusconiana, i VCR, l’arrivo dei videogiochi, il trionfo di media “veloci”. Ma la crisi delle riviste è stata europea, non un fenomeno unicamente italiano. Era già tutto pronto per la rete e per l’abbuffata indifferenziata e bulimica di informazione.
Sartori:
Esistono sicuramente molti fattori. È una fase storica in cui il fumetto subisce la concorrenza di forme d’intrattenimento nuove e più coinvolgenti per il pubblico. Probabilmente è stata decisiva la concorrenza fra troppe testate, che si spartivano e contendevano una fetta di mercato non tanto ampia da dar di che campare a tutti. Queste sono le motivazioni che normalmente si leggono sull’argomento. Mi sa che ce ne sono anche altre che non ricordo perché non frequento più da tempo la questione.
La mia convinzione personale attribuisce una parte di responsabilità non marginale agli autori. Le riviste erano il luogo della maturazione dei lettori non più adolescenti a cui finalmente qualcuno prometteva che il loro medium preferito, quello in cui credevano profondamente e che pagavano non poco, poteva maturare con loro e rispecchiare la complessità del mondo che andavano scoprendo fuori e dentro di sé. Poi però succede un imprevisto. Le Déclic. L’asso pigliatutto di Manara che fa ricco e acclamato il suo autore. Che sdogana l’erotismo come finezza intellettuale. Che gli guadagna uno stuolo di imitatori fra i colleghi. I quali vogliono la loro porzioncina di successo e riempiono le riviste d’autore di fumetti per segaioli più o meno raffinati. Gli editori, complici, se ne rimangono con lo zoccolo molle dei lettori segaioli, mentre i lettori che volevano il fumetto maturo alla lunga si scocciano e vanno a cercare altrove contenuti e forme alla loro altezza.
Castagna:
Sono diminuite le vendite, forse è un po’ un mistero, perchè la scomparsa è stata europea; perfino in Francia che era la roccaforte del fumetto, sono scomparse, ma non è scomparso il fumetto. Un format che quasi improvvisamente ha perso di appeal; le vendite erano sul filo di rasoio e quel poco di cedimento ha fatto il resto.
Ferrarotti:
Ah sì, è finita?! Non ci avevo mai pensato seriamente, non me ne sono o ero mai accorto veramente, forse le ultime cose che ho acquistato in edicola sono stati alcuni numeri di Blue e di Animal nel 2009 o giù di lì, mentre ero in vacanza in montagna, ma solo perché ci disegnava Fabio Visintin, che ai tempi aveva per un po’ supplito Laura alla Scuola del fumetto…Lorenzo [Sartori, n.d.r.] mi ha detto di recente che forse esiste ancora, addirittura, Frigidaire! Già allora sembrava una rivista di nicchia ma adesso siamo ai limiti della clandestinità, suppongo, come il primo Male! Di certo nelle edicole comuni che frequento ora di riviste di fumetti proprio non ne vedo: ero arrivato a trovarne perfino di filosofia, ma di fumetti proprio no!
Credo che ciò sia da imputare a diverse cause: innanzitutto la rivoluzione informatica, molti giovani o non più tali preferiscono i giochi interattivi a un qualsiasi fumetto! Pure io, che non ho mai neppure giocato a Pacman e agli altri videogiochi che all’epoca della mia prima giovinezza iniziavano a invadere – ecco, l’altro era Space Invaders – i bar di provincia, mi sono ridotto ad acquistare su ComiXology disegni e ambientazioni di qualche videogioco del momento, pur non avendoci mai giocato e non sapendo nemmeno di che cosa si tratti: semplicemente mi piacciono i disegni, le scene! Poi ci sono state le graphic novel: perché leggersela a puntate in rivista se poi mi posso prendere l’opera completa in volume (cfr. supra il discorso sulle “pillole” di Magnus)? Insomma, ci sono mille motivi, è cambiato il mercato e il consumo o la fruizione dei fumetti, sono arrivati i manga e le fumetterie, che adesso chiudono perché non riescono a far concorrenza ad Amazon e al fumetto digitale!
Per quanto mi riguarda personalmente ho smesso di leggere Orient Express (anche se ho continuato a leggere Corto Maltese, per i super eroi adulti…) perché è morto Pazienza e perché Magnus aveva già fatto Necron! Una collana di fumetti porno dozzinali poteva ospitare qualcosa che valeva di più dello Sconosciuto (ok, lo ammetto, è una provocazione ma mentre Necron continua idealmente a divertirmi, l’altro non so se mi vien voglia di tornare a leggerlo, nonostante sia evidente che si tratti del suo capolavoro, così come il Texone del suo testamento…).
16. Se le dico “fumetto popolare” vs. “fumetto d’autore”, che cosa le viene in mente?
Alegi:
Questa era una domanda ricorrente quando leggevo e studiavo letteratura popolare (fantascienza, fantasy, noir, giallo …), senza mai convincermi del tutto. Ai miei occhi la vera distinzione è sempre tra fumetti (e libri, film …) che toccano o meno temi universali, trascendendo la natura del genere per toccare/trasmettere qualcosa che sarebbe importante anche in un altro formato – anzi, in qualsiasi formato. Da ciò si deduce ulteriormente la necessità di una dimensione in qualche modo tragica, di certo antieroica e disincantata (ma non necessariamente cinica). (Se suona come la teoria di Chandler ne The Simple Art of Murder, ammetto di averlo letto, amato e meditato). L’universalità consente di parlare a tutti (ed essere dunque davvero popolari), mentre l’eccessiva autorialità sconfina nell’autoreferenzialità incomprensibile (e non può dunque raggiungere il “popolo”). Per fare qualche esempio prattiano, Gli Scorpioni del Deserto (apparsi in Italia credo su Alter nel 1974 e un paio d’anni dopo in volume) sono un racconto di guerra d’impianto tradizionale su temi universali quali lealtà e amicizia, mentre Mü è un ricamo onirico su un’antologia di curiosità personali. Allo stesso modo, il fumetto storico può essere didattico (dunque poco ispirato, come negli orrendi volumi firmati da Enzo Biagi) o letterario (dove parla della tragedia della guerra come fenomeno). La distinzione è talvolta utilizzata in senso economico, come equivalente delle polarità semplicità/qualità. Anche in questo caso, per me si tratta di un errore. La stretta osservanza di parametri economici – tempo, costo, lunghezza – è un elemento centrale della qualità delle storie da rivista, di 10-16 tavole, realizzabili all’interno della periodicità standard, con attenzione ferrea alla gestione di spazi, testi e tempi della narrazione. Di contro, carta patinata, lunghezze infinite e colore non possono salvare storie esili costruite su luoghi comuni. In termini puramente grafici, alla definizione di “popolare” associo una scarsa qualità del disegno, legata a cattive condizioni di lavoro e bassi standard editoriali (p.es. tutta la produzione Lancio, Astorina e persino molte serie Bonelli). Entro certi limiti questo prescinde dalla pura tecnica e persino dallo stile individuale, come dimostrano quei disegnatori che si sono esercitati nei diversi ambiti.
Castaldi:
Immediatamente? Mi viene in mente Magnus (Roberto Raviola), l’unico grande autore di fumetti italiani che ha avuto l’abilità e il coraggio professionale di coniugare i due ambiti. Per il resto mi sembra una distinzione insensata come lo è in altri ambiti, cinema, letteratura, teatro, musica. Il peso estetico specifico di un buon Chandler è uguale a quello di un buon Faulkner.
Sartori:
Una diatriba noiosa che sento da sempre. Troverei più interessante la distinzione fra fumetto meramente industriale, ossia progettato e devitalizzato a tavolino dagli esperti plenipotenziari del marchètting, e quello in cui la creatività originale dell’autore è alla guida di tutto il convoglio. La più colossale industria mondiale di fumetto, quella giapponese, lo sa da sempre e pur senza ignorare target e pianificazioni industriali, si fida del naso degli autori e grazie a questo continua a essere in contatto con una massa sconfinata di lettori e coi loro sogni e bisogni. Sono stato lettore affezionatissimo di Ai Yazawa: tu sai dirmi se il suo sia fumetto popolare o d’autore? Io no. Noi italiani, che abbiamo fatto i fumetti più belli del mondo negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, non sappiamo più niente di che cosa passa per la testa e il cuore dei nostri i ragazzi che infatti, se leggono fumetti, leggono manga. E fanno bene.
Castagna:
Un argomento enciclopedico: diciamo che il fumetto popolare (per fumetto popolare intendiamo fumetto seriale?) è un fumetto che deve raggiungere più persone possibili e quindi deve giocare senza troppe sovrastrutture. In parole povere, nel fumetto popolare/seriale ha più importanza lo sceneggiatore /soggettista, che il disegnatore. Che tu disegnatore sia bravo o meno è un optional, e poi c’è disciplina.
Nel fumetto d’autore o sei Moebius che fa i fumetti a forma di orecchie di elefante o sei destinato al massacro, perché da buon autore completo o disegnatore narcisistico e autoreferenziale non comunicherai con il tuo lettore. Sarebbe meglio che tu, autore, ti andassi a fare (rompere) le ossa da Bonelli e poi facessi (insieme ad un soggettista/sceneggiatore) i tuoi fumetti d’autore.
Ferrarotti:
Mi viene in mente la differenza che c’è tra Kirby e quel coglione di Lichtenstein: mentre il fumetto popolare è al servizio del narrare, l’altro si concentra sul linguaggio, la forma… ormai non ci credo più! Una volta che si è capito il giochetto basta fare quello che faccio con i fumetti di Kirby, da fruitore e anche da “autore”, visto che ho usato il collage di alcune tavole di Kirby per parlare di me, del mio rimosso, di quello che stavo vivendo una volta congedatomi dalla Scuola del fumetto e passato a Bologna, al DAMS di Eco & soci (tavole pubblicate su una rivista autoprodotta da Lorenzo e altri alla Scuola). È la stessa cosa che faceva quel coglione di artista pop e invece Kirby produceva mondi su mondi… e allora chi è il vero genio?
È lo stesso che Hendrix – visto che anche io sono chitarrista – e, che ne so, il mio collega che insegna al Liceo musicale di Vercelli e si picca di essere il più grande chitarrista elettrico di musica colta mondiale (?!): ha scritto anche un libro sull’uso dello strumento in orchestra, e questo gli fa onore, ma stranamente non è in grado di suonare una versione anche solo decente di “Hey Joe”, e questo è davvero imbarazzante!
Ormai è come con la musica, alto e basso sono saltati, c’è musica buona e muzak, musicaccia, a qualsiasi livello, colto o popolare che sia! Hugo Pratt è un Autore certo, Moebius, Pazienza… e Mattotti o Igort, cosa fanno adesso? Film, o pubblicità. E Neal Adams, non è forse un Autore, pur se di “fumetto popolare”? E Stan Lee?
About Orient Express
17. Che cosa aveva Orient Express di diverso rispetto alle altre riviste?
Alegi:
Direi che aveva un rapporto più genuino con il fumetto, senza l’onere di doverlo giustificare (come Linus, che risentiva della nascita negli anni Sessanta) o la necessità di essere un veicolo per chi rappresentava autori stranieri (come L’Eternauta/Comic Art).
Castaldi:
Rispetto alle altre riviste del tempo appariva più come un progetto studiato: fumetto italiano d’avventura (quindi in Italia per definizione “popolare”), realizzato da grandi nomi. Altre riviste come Eureka o Il Mago in confronto erano dei contenitori più ampi e più anonimi.
Sartori:
L’ho già detto credo, e lo ripeto, sempre senza tornare a sfogliare una sola pagina della rivista. OE aveva una sua voce. Era principalmente la voce del suo direttore, anche se non so quanto scrivesse di suo pugno. Intendo il timbro, di voce. Quello che differenzia ciascuno di noi. Era una voce calda e pacata, rassicurante e al tempo stesso coraggiosa. Intelligente e non elitaria. Capace di leggerezza. Fuori dal coro, ma senza che l’essere fuori dal coro assurgesse a dominante identitaria.
Inoltre, anche se ha avuto una parabola di vita coesistente alla breve vita + lunghissima agonia di Frigidaire, io me la piazzo in testa come successiva [vedi domanda no. 7]. È un mondo ancora vivo ma ripulito e normalizzato. È il nuovo fumetto degli anni ’80 che cerca di accomodarsi in un’identità formale: che non rinnega eccessi e sperimentazioni ma cerca un assestamento maturo, tipo giovani uomini che si tagliano i capelli ma non smettono di farsi le canne… se l’immagine rende un’idea. Quando ho incontrato Orient Express, ancora le tavole di Pazienza m’inquietavano, per capirci. Le leggevo con disagio. L’unica storia di Orient Express che si sia appena appena avvicinata a questo effetto fu L’uomo che uccise Ernesto “Che” Guevara di Magnus. Ma proprio per questo conquistò all’istante il mio favore e la mia attenzione di giovane imbranatino che aveva paura di buttarsi.
Castagna:
Dei redazionali interessanti, degli editoriali in linea, una ottima ricerca di nuovi autori che (guarda caso) venivano dal mondo di Bonelli, dal mondo di Lanciostory, da Diabolik.
Ferrarotti:
Non lo so, si vedeva che era seria e che pubblicava fumetti che mi potevano piacere, ma francamente non percepivo troppe differenza tra Orient Express e altre che leggevo, come Totem, Metal Hurlant, Pilot, 1984, Corto Maltese e soprattutto Comic Art, con la quale spesso l’ho confusa, e che penso ne sia stato il naturale prosieguo: le prendevo perché ci pubblicavano i miei autori preferiti o perché si potevano scoprire nuovi personaggi, nuove storie e nuovi talenti!
18. Pensando ai vari elementi di Orient Express (editoriali, articoli di approfondimento, interviste, news sui fumetti; posta dei lettori; storie a fumetti), quale era il suo preferito e perché?
Alegi:
A distanza di anni, senza riprendere in mano la rivista, faccio fatica a rispondere con esattezza. Posso però ribadire che il punto centrale erano le storie. A queste seguivano senz’altro interviste e approfondimenti. Oggi considero le news il cuore dei giornali, ma non sono certo che all’epoca fossi abbastanza preparato da capire news così tecniche. Allo stesso modo, come giornalista comprendo il valore della Posta per costruire un rapporto con i lettori, ma come lettore non sempre trovo motivi di interesse nelle lettere altrui!
Castaldi:
Devo confessare che saltavo a piè pari articoli, editoriali, etc. e andavo direttamente ai fumetti. C’era un’atmosfera, negli editoriali e nelle anticipazioni, da “club del fumetto”, che un po’ m’infastidiva. Cioè, tutto sembrava ruotare attorno al fumetto e un certo tipo di cultura popolare che si ispirava o era fonte di ispirazione di un certo fumetto: le recensioni di libri gialli, fantascienza, reportage dai saloni di Lucca, rubriche di memorie di vecchi redattori Linus. Una sorta di cortocircuito. Viziato da Frigidaire – dove le rubriche e i servizi offrivano Burroughs, Celine, Joyce, Algren, Landolfi, interviste con i musicisti della no-wave newyorchese, i Residents, reportage sulla mafia, sulle disavventure di spacciatori di cocaina in Cile e di marchettari a Roma – l’aria delle rubriche di Orient Express, come poi con Comic Art, mi sapeva un po’ di stantio.
Sartori:
Naturalmente preferivo le storie a fumetti. Tutto il resto era a servizio delle storie a fumetti. Leggevo tutto però: notizie, articoli, profili degli autori, posta… Imparavo da tutto quanto veniva scritto, come ogni appassionato impara con facilità e naturalezza tutto ciò che appartiene o ruota attorno all’oggetto della sua passione. Come ogni ragazzo impegnato a crescere.
Ad ogni modo, di Orient Express mi piacque anche la sua grafica così semplice e “tondeggiosa”, così pulita e retrò. I testi redazionali erano anche loro impaginati pulitamente, mai pesanti, con un sottile insinuante invito a conoscere e approfondire un mondo, quello del Fumetto, che poteva essere una specie di milieu… un invito a farne parte attraverso l’acquisto della rivista e dei suoi contenuti. Per come l’ho conosciuto poi, fra l’altro, è vero, era così. All’epoca il fumetto italiano era quella cosa lì e Bernardi stava creando un cuore bolognese del fumetto che si sentiva attraverso le pagine della rivista. Il cambio di grafica, che non so quanto a ragione io associo anche a una svolta editoriale, trovai che dava un aspetto di maggiore attualità a spese però di un’identità a cui mi ero affezionato (da poco, ma non poco) e che mi aveva indotto da subito a recuperare tutti gli arretrati che mi ero perso.
Castagna:
I redazionali erano organici alla rivista, dopo di lui né Comic Art, né Corto Maltese ne hanno mai più avuti.
Ferrarotti:
Leggevo con attenzione “Fatti&Fumetti”, perché informava sulle novità editoriali del settore (un antesignano di Fumo di China, credo) e poi le storie che mi ispiravano di più, oltre che quelle dei grandi nomi per cui la acquistavo! Se devo essere sincero il primo numero che acquistai in edicola nel dicembre dell’83, facevo quinta liceo, era il no. 17 e lo presi per un solo motivo: ci pubblicava Pazienza! DETECTIVE MAMA! Era il mio, il nostro idolo e me l’aveva consigliato come al solito Fer, il mio vicino di banco! Era lui che mi aveva convertito al verbo pazienziano, avendo notato una sorta di aria di famiglia tra quanto disegnavo in modo estemporaneo su libri e banchi scolastici, durante le ore di lezione più noiose, e una certa qual verve del Maestro: sarà che anche io all’epoca facevo un uso spropositato di cannabinoidi, da qui forse il rimando a una comune origine creativa di certi disegni!
19. Perché ha sentito la necessità di scrivere a Orient Express? Ha scritto più di una lettera? Com’è stato vedersi pubblicare/rispondere pubblicamente?
Alegi:
Per carattere, desidero sempre interagire con le iniziative che apprezzo. Ho iniziato scrivendo (e venendo pubblicato) al Corriere dei Piccoli, Modellismo Militare, Storia Modellismo e persino al Corriere della Sera. In questo senso, essere pubblicato non era una novità assoluta. Immagino di aver provato soddisfazione soprattutto per il fatto di “entrare” in un campo diverso dagli altri e di ricevere un riconoscimento implicito in un ambito più creativo. Credo che quella lettera sia stata la prima e unica inviata a Orient Express, ma ho la sensazione di avervi fatto seguito con una telefonata. Il mio primo computer è del 1985, per cui la lettera a Orient Express fu scritta quasi certamente a mano e non ne conservo copia. Tra le altre cose, non è possibile sapere cosa fu tagliato!
Castaldi:
Per divertimento. Avevo 13 anni. Come al solito non ho perso l’occasione di ingiuriare qualcuno. Il povero Cavezzali se ricordo bene. All’epoca scrissi anche a Metal Hurlant perché se pubblicato regalavano il poster di Moebius, quello con Arzach che vola su un campo di battaglia. Ma con MH non ho avuto fortuna e quel bel poster che tanto bramavo non l’ho mai ricevuto.
Sartori:
Ho scritto una sola lettera e credo di aver cominciato a vergognarmene dopo il primissimo stupore di vedermi stampato. Vedermi stampato e leggere la risposta (che non ricordo più e d’altra parte non ricordo precisamente nemmeno la mia stessa lettera) mi ha fatto effetto: mi ha fatto sentire considerato e mi ha fatto sentire parte di quel mondo per me ancora così lontano e alto.
Castagna:
N/A
Ferrarotti:
N/A
20. Che cosa ne pensava delle risposte di Bernardi e dello staff? Pensa che ci fosse un rapporto di parità tra i lettori e i collaboratori/editori di Orient Express, o questi ultimi erano percepiti come più esperti e competenti?
Alegi:
A 35 anni di distanza, mi è difficile focalizzare le risposte sino al punto di dare un giudizio. A giudicare da quella data a me, erano risposte vere e non stereotipate, che davano fiducia al lettore anche se sconosciuto. Il mio giudizio potrebbe però essere colorato dal fatto che il mio sfoggio di erudizione sia stato preso sul serio.
Castaldi:
Io credo che i lettori di Orient Express fossero un po’ più giovani di quelli di altre riviste. Orient Express aveva lo stesso pubblico che aveva Il Mago, come sembra confermare la lettura della pagina della posta. Quindi mi sembra che i lettori venissero trattati con una sorta di benevolo paternalismo.
Sartori:
Io certamente percepivo chi scriveva sulla rivista come al di sopra di me e di tutti gli altri lettori, per competenza. Un po’ perché nella mia ingenuità ero convinto che chi scriveva su una rivista doveva necessariamente avere un grande bagaglio di sapienza specifica. E anche perché effettivamente sentivo autorevolezza nelle risposte che leggevo.
Castagna:
Sì.
Ferrarotti:
N/A
21. Come ha accolto l’acquisizione di Orient Express da parte di Bonelli Editore? C’era comunanza tra i lettori delle riviste e quelle dei seriali Bonelli?
Alegi:
Ho continuato a comprare gli albi di storie complete editi con il marchio Orient Express, e via così. Non mi ero mai posto il problema della comunanza di lettori, anche perché credo che al nostro livello di lettura la percezione del peso della casa editrice fosse molto diverso da quello che sarebbe oggi. Inesperienza? Ingenuità? A ripensarci ora, direi che Orient Express sia diventato una sorta di segmento alto di una casa editrice di consumo, in qualche modo riprendendo il filone degli albi Un Uomo Un’Avventura della Bonelli Editore, molti dei quali avevo acquistato e che apprezzavo molto.
Castaldi:
Credo di sì. Credo che il lettore di Orient Express fosse anche un lettore, se non proprio di Zagor, comunque di Ken Parker e Martin Mystère. Difatti poi Ken Parker è finito sulle pagine di Orient Express quindi non fu una sorpresa quando Orient Express passò a Bonelli. Per altro, Bonelli aveva in un certo senso anticipato l’operazione di Orient Express con la collana Un Uomo Un’Avventura, in cui si chiedeva ad auteurs di misurarsi con il genere avventuroso bonelliano. Io credo che Orient Express nella sua ultima fase tentasse di diventare un po’ più europea. Credo quasi di preferire questo ultimo periodo; c’erano Tacconi, Magnus, Milazzo, Moebius (non al suo meglio, ma sempre Moebius) e il bellissimo Perramus di Breccia.
Sartori:
Io non ricordo di aver saputo in diretta di questa vicissitudine. Era stato scritto pubblicamente sulle pagine della rivista? Non mi sembra. Ne ho saputo dopo sicuramente, come un sacco di cose pubbliche e di retroscena che mi si sono rivelati man mano che mi addentravo nel mondo del fumetto professionale… quindi non vorrei fare confusione su questo argomento. Contro ogni tentazione teorica, direi che sì, c’erano comunanze. Probabilmente marginali, incidentali, non strutturali. Io, giovane in formazione, ero uno della comunanza, come detto: c’è voluto ancora qualche anno perché decidessi di smettere per sempre le mie due, tre serie Bonelli e spendere solo nel cosiddetto fumetto d’autore. Ieri sera ero a cena da un amico coetaneo che legge ancora Bonelli e, della cantina che vuole svuotare, dice che a naso si tratta per due terzi di Bonelli e per un terzo di materiale cosiddetto d’autore.
Castagna:
Era un salvataggio, ed era un complesso di inferiorità di Sergio Bonelli, che non capiva perché lo dovevano etichettare come popolare, quando lui voleva fare l’autore. D’altra parte, Bernardi era convinto che con l’ingresso di autori Bonelli la rivista sarebbe salita di quota. Maledizione ha voluto che gli artigiani Bonelli promossi ad autori hanno portato su Oriente Express, per peccato di presunzione, le loro opere più “pallose”. Mi riferisco a Un principe per Norma, il Ken Parker di Orient Express che non era proprio adatto a quello che serviva alla rivista per salvarsi: per non parlare poi dell’autore popolare per antonomasia, Magnus, che su Orient Express decide di pubblicare L’uomo che uccise Ernesto “Che” Guevara, lavoro di altissima autorialità, ma voci di corridoio dicono che affossò definitivamente il corso della rivista, troppo d’élite per l’epoca.
Ferrarotti:
Francamente non lo sapevo! Il primo numero che acquistai, v. sopra, era già pubblicato da Bonelli: quelli prima non li ho mai visti, credo, o non me ne ricordo, mi spiace!
22. Quali erano i suoi generi fumettistici preferiti? Quali storie/autori di Orient Express preferiva e quali non le piacevano?
Alegi:
I miei generi erano, e sono, l’avventura e il giallo. Questi possono essere ambientati in qualsiasi luogo o tempo (medioevo o spazioma il cuore restano la trama (“I read for the plot”) e la scrittura dei testi. Se escludiamo la conferma di nomi che già conoscevo, su Orient Express ho scoperto la grandezza di Magnus, liberandomi definitivamente del pregiudizio negativo ingenerato dai toni grotteschi del Gruppo TNT. E ho scoperto la grandezza di Giardino, che non conoscevo. Le storie di Sam Pezzo, in particolare, mi sembravano uno straordinario esempio di “giallo italiano”, categoria della quale un po’ si discuteva ma che sembrava produrre risultati mediocri. Controllando i sommari di Orient Express pubblicati in rete, citerei tra gli autori apprezzati o graditi Cavezzali (già noto – conferma), Manara (straordinariamente disegnato, ma con limiti narrativi nascosti dall’erotismo insistito), Tacconi (già noto – conferma), Saudelli (novità). Calegari e Milazzo li riconosco leggendone il nome, ma non mi avevano lasciato impronte indelebili. Panebarco non mi piaceva per il tratto grottesco.
Castaldi:
Mi piacevano TUTTI i generi ad eccezione delle storie di guerra tipo “Super Eroica”. Su Orient Express cercavo subito Magnus, Micheluzzi, Milazzo, Panebarco e Giardino. Odiavo Saudelli e detestavo Rotundo e Baldazzini.
Sartori:
L’unico genere che mi era e mi rimane ostico sono i supereroi. Gli amici che mi conoscono sanno consigliarmi supereroiche perle rarissime che apprezzo, ma sono le famose eccezioni che confermano la regola. E comunque non è materiale che comparisse su Orient Express.
A memoria, fra gli autori fissi: Micheluzzi (Air mail è una delle sue cose che amo di più), Magnus, Milazzo, Rebecca di Brandoli & Queirolo, Giardino soprattutto di Rapsodia Ungherese (dopo, ha cominciato a “perfettizzarsi”, anche un po’ “manarizzarsi”, perdendo alcune piccole idiosincrasie preziosissime ai miei occhi). Ho accettato e letto con piacere anche un Cadelo che a prima vista mi lasciò perplesso. Trovavo insopportabile Baldazzini all’inizio, poi è riuscito a portare a compimento uno stile gelido ma interessante nella sua diversità all’epoca (quel che ne ha fatto poi come qualità delle storie è tutto un altro paio di mutande, ma è un problema suo). Saudelli è uno dei casi esemplari di autori che ti lusingavano promettendoti storie di spessore per poi abbandonarti alla deriva della masturbazione. Lui riuscì a fare tutto questo, se non ricordo male, nella parabola di una sola storia. Ma se avessi avuto l’occhio fino l’avrei annusato già dallo stile di disegno. Panebarco è ancora oggi uno degli esempi che faccio per dire che si può essere anche molto limitati nel disegno e fare fumetti geniali. E poi c’è stato addirittura Alberto Breccia!
Castagna:
Non mi è piaciuto appunto Un Principe per Norma, gli altri mi piacevamo tutti; anche Panebarco.
Ferrarotti:
Anche qui, penso di avere già ampiamente risposto in precedenza: di sicuro quando acquistai il primo numero mi colpì Magnus perché per me era soltanto il disegnatore di Alan Ford, non pensavo potesse uscirsene con qualcosa di serio, un fumetto d’autore, addirittura un romanzo a fumetti sul Che! Non credo che lo lessi! Di sicuro avrò trovato inconsciamente interessante Saudelli per l’ambientazione e perché copiava consciamente in modo spudorato Sal Buscema e Kirby, con il nano testone uscito direttamente dal Cap di Kirby, anche se in quel momento ripudiavo tutto il mio passato superomistico, che consideravo roba da bambini mentre in quel momento ero diventato finalmente un adulto: se c’erano scene di sesso esplicito tanto meglio, un voto a favore dell’autore di turno! Non mi spaventava più il V.M.18! Anzi, era il benvenuto!
I numeri successivi li presi perché ormai ero entrato nel meraviglioso mondo dei fumetti da potenziale professionista quindi me li avranno consigliati alla scuola, nonostante per me fosse un po’ troppo mainstream come rivista, essendo orientato sul genere avantgarde dei Valvoline di Frigidaire e Alter Alter!, un romano-inglese, se vuoi te la invio, ne avevo fatta una foto non troppo tempo fa!
23. Che cosa ha pensato/provato quando, dopo soli 3 anni, Orient Express ha chiuso i battenti?
Alegi:
Ci sono sicuramente rimasto male, anche se il passaggio sotto il marchio Bonelli ne aveva sicuramente reindirizzato in qualche modo le priorità e i contenuti. L’Eternauta e Comic Art non avevano dietro la vivacità e lo spirito redazionale di Orient Express, rispecchiando piuttosto i contatti commerciali di Alvaro Zerboni e le idee di Rinaldo Traini.
Castaldi:
Ho seguito Orient Express solo per i primi due anni, quindi quando è scomparsa non me ne sono accorto. Al periodo, il prezzo di copertina delle riviste a fumetti era diventavo proibitivo per un teenager. La precedenza andava a Frigidaire e a volte a Alter. Credo che sia stato un vero peccato perché come dicevo sopra, l’ultimo periodo di Orient Express, col senno di poi, era forse il suo migliore e la rivista stava prendendo una sua personalità e stava perdendo un po’ di quella formula rigida su cui si muoveva all’inizio.
Sartori:
A tutta prima, incredulità. Mi sembrava che Orient Express avesse da pochissimo cambiato pelle e che la morte arrivasse innaturale. Ricordo che ne parlammo al corso di fumetto, fra allievi, con l’ultimo numero fra le mani. Fu la prima rivista, a chiudere? Lo chiedo a te, io non ricordo. In ogni caso presto diventò un’abitudine, il funerale delle riviste. Ci furono in seguito altri tentativi che esploravano modalità diverse, come Dolce Vita che stranamente non includi fra le testate oggetto di questa intervista… e poi anche TIC, esperimento milanocentrico fatto da Storiestrisce (ossia ormai i soli Elfo e Franco Serra) in sinergia con Radio Popolare e forse altre realtà della sinistra… e poi finì su rivista una parte dell’ondata horror che seguì all’inaspettato successo di Dylan Dog, e poi l’interessante esperimento di Lupo Alberto Magazine… e boh, forse altro ancora che non mi viene in mente. Epigoni, rantoli.
Castagna:
Dispiaciuto moltissimo, ma era in mano a Bonelli, e Bonelli pubblica solo se c’è guadagno e con un certo margine. Però Comic Art ha recuperato quasi tutto.
Ferraotti:
Mi spiace che chiudesse i battenti quando iniziavo a prenderci gusto: ricordo che disegnai una tavola di Ken Parker per la materia “Colore”.
Ho qui davanti a me l’ultimo numero, il 30, del marzo 85: non avevo mai visto scritto su una rivista “ULTIMO NUMERO”, forse è uno dei motivi che mi ha spinto, inconsciamente, a mollare la mia futura, possibile/probabile carriera di fumettista e di andarmene al DAMS, verso altri lidi. Si percepiva che il boom delle riviste a fumetti, di qualità, si stava esaurendo… tra l’altro è uscito nel mese in cui è morto mio nonno, per me è stata come la fine della giovinezza!
Ulteriori commenti.
Alegi:
In conclusione, credo sia opportuno sottolineare il mio riferimento inconscio a una rivista a fumetti per ragazzi con un qualche grado di preparazione o ambizione, diversa dall’intrattenimento di consumo dei prodotti Lancio e, un po’ più su, Astorina e Bonelli, ma al tempo stesso non affetta da snobismo e autoreferenzialità. In questa fascia sono necessari coerenza di contenuti (non mero assemblaggio di storie) e qualità nei contenuti redazionali (diciamo unendo curiosità da fanzine con professionalità da editore?). Su quest’ultimo punto, segnalo la validità degli aspetti redazionali di riviste commerciali come Martin Mystère, che forniscono al lettore indicazioni chiare di quanto è inventato e quanto è accertato, per esempio. In questo caso, la qualità è frutto dell’apporto diretto di Alfredo Castelli, mitico redattore del Corriere dei Ragazzi degli anni d’oro. Per dire che qualità e diffusione, qualità e intelligenza non sono necessariamente reciprocamente esclusivi.
Sottolineo inoltre la mia atipicità e non rappresentatività, sia come background familiare che come cultura generale. Ero un lettore avido di tutto, di ogni genere e impegno (da Tolstoy a Hammett, da Stendhal a Tolkien, da Hemingway a James White, da D’Annunzio a Garcia Lorca). Le mie aspettative quindi erano alte rispetto al fumetto commerciale, ma al tempo stesso non di nicchia o élite. Ero inoltre curioso, e spesso sono andato a leggermi i libri citati nei fumetti o ai quali questi si ispiravano più o meno scopertamente.
Infine, la discussione esclude i fumetti comici. Non perché non mi piacessero (avevo scoperto Cavezzali sul Corriere dei Ragazzi e fui felice di ritrovarlo su Orient Express), ma perché in qualche modo trovo la commedia incapace di raggiungere i vertici della tragedia. È un mio limite di concezione, ma è così.
These interviews have been conducted via e-mail and written directly by the interviewees between September 2019 and May 2020.